Passalacqua: il sogno è morto, viva il sogno
E’ accaduto di nuovo, per la terza volta di fila in tre anni: la bella con Schio, pur se “declassata” al rango di semifinale (ma per tanti era la finale “vera”), ha impallinato il sogno-scudetto della Passalacqua proprio quando stava volando più alto. Cioè all’ultimo minuto (scarso) e dopo che le aquile erano state avanti per almeno tre quarti della sfida. Che ha rispettato tutte le previsioni (anche quelle non edificanti, ma ne diremo più avanti) meritandosi come forse mai di essere definita battaglia, e dimostrato come la pallacanestro femminile, se giocata a tali livelli tecnici e con tale intensità, meriti davvero molto più spazio di quanto i media nazionali si degnino di concedere. Tacendo per rispetto della degnissima professione, l’imperdonabile ferita all’immagine della categoria inferta dalla telecronista (di una televisione nazionale, non di Tele Scasazza di frassichiana memoria!) con una telecronaca tanto “orientata”(ovviamente direzione Schio) da far invidia ad un collega della Corea del Nord quando annuncia la visita del leader con i capelli tagliati col colapasta (mi spiego: viva il timoniere della nostra patria, la nostra guida illuminata, l’artefice del nostro destino e roba del genere), non possiamo esimerci dal far notare come anche questa volta i tre arbitri (in particolare uno dei due maschietti) abbiano rivelato eccezionali competenze e qualità chirurgiche, utilizzando il fischietto come il più affilato dei bisturi. Nulla di eclatante, sia chiaro: un taglio qua, poi uno più profondo (tanto ancora siamo all’inizio..) là, poi ancora uno “che tanto tutti possiamo sbagliare”, ovviamente anche uno “perché zitti che non capite un …” e via così. Quanto basta per tirar via esattamente la quantità di sangue (leggi punti) necessaria e nel momento in cui sarebbe servito di più: non c’è alcun bisogno, parliamone come se fosse calcio, del fuorigioco di dieci metri non visto o del rigore per fallo due metri fuori area. E’ più che sufficiente così (vero signori arbitri di gara cinque nella finale scudetto dello scorso anno?) : basta un sapiente uso scientifico del fischietto, basta il “bombardamento mirato” che (dicono) non produce effetti collaterali. Mah!. Detto ciò, non per il solito piagnisteo da sconfitta ma solo per sottolineare un dato di fatto (che comunque non tocca lo spessore della squadra vincitrice), ricordiamo che la mancata qualificazione alla finale scudetto non deriva certo soltanto dall’esito sfortunato di venerdì sera. Lo sappiamo tutti, parte da lontano: da quando la capolista ha buscato sodo ad Umbertide e Vigarano (due volte in due anni, evidentemente l’esperienza non insegna) portando il presidente a cambiare in corsa il pilota, dal k.o. interno col Napoli e, per finire, dalla resa a discrezione al PalaMinardi con Schio, che ha sbarrato la ancora “praticabilissima” strada del primo posto nella regular season. Quanto alla sconfitta a Venezia, è stata ininfluente: ai tanti che parlano di scelta sbagliata (perché non piazzarsi quarti, evitando il tabellone lato Schio ?) ricordiamo che manca su cosa fondare la certezza che sarebbe stato diverso. Meglio ricordare le emozioni regalate da tutta la squadra (Gianni Lambruschi ha ruotato tutta la panchina molto più del suo predecessore) mostratasi davvero molto vicina allo squadrone pensato in estate dal presidente Gianstefano e da Nino Molino : molto forte (quasi sempre) col vecchio coach, dopo aver assimilato le idee del nuovo tecnico ha fatto ancora meglio, meritando il massimo dei voti e la lode. Naturalmente prenderne atto è come spargere sale (e pepe rosso) sulla ferita, ma deve essere ricordato: esattamente come va ricordata la straordinaria impresa di vincere (a Schio) la Coppa Italia: uno splendido trofeo, che tutti ci auguriamo il battistrada per tanti altri. Certo, l’amarezza per il sogno infranto rimane, ma la Coppa aiuta ad attenuarla (come le caramelle Dofour), indicando nello stesso tempo da dove ripartire per provarci di nuovo. E se il presidente ne avrà ancora voglia, dopo i tanti (davvero tanti) soldi spesi, dopo i tesori di impegno e di tempo profusi per vivere (e farci vivere) questa fantastica avventura, si potrebbe anche provare il brivido dell’Europa: crediamo, per logica e per merito, sempre con lo stesso Gianni Lambruschi in panchina. Purtroppo senza Rebekkah e Camille, le due migliori americane mai arrivate da noi, ma se deciderà di farlo, Gianstefano Passalacqua riuscirà a trovare degne sostitute, e sicuramente senza Jenifer Nadalin che ha annunciato da tempo di voler smettere. Per il resto ci penseranno presidente e coach, che avranno già pensato dove tagliare e dove “conservare”: diamo loro tempo e attendiamo con fiducia. P.S. Lo diciamo dalla finale scudetto dell’anno scorso che “per vincere uno scudetto bisogna prima averne vinto uno”. E’ così, non è un discorso folle: è un po’ come “comma 22”. Chi ha letto il libro o visto il film ci darà ragione.