Un video girato con il telefonino fa arrestare gli scafisti

La Polizia Giudiziaria ha ferma due scafisti grazie ad un video girato per ricordo da un giovane siriano con il suo telefonino che consegnandolo agli inquirenti ha dichiarato:
“Io vi aiuto ma non chiedetemi di rimanere in Italia, devo andare dalla mia famiglia in Svezia. Ho girato il video per ricordo, volevo far capire un giorno ai miei figli cosa abbiamo rischiato per la libertà, per fuggire dalla Siria, dalla guerra”. La cosa che fa maggiore impressione è l’enorme giro d’affari che si scopre intorno a questi viaggi.
I pagamenti degli scafisti ormai avvengono mediante transazioni elettroniche e per questo ultimo viaggio l’organizzazione ha incassato 450.000 dollari. Lo scafista per il viaggio percepisce in media 6.000 euro ma rischia fino a 15 anni di carcere a causa di schiaccianti le prove raccolte attraverso l’esame dei telefoni cellulari. La Polizia di Stato – Squadra Mobile – con la collaborazione della Sezione Operativa Navale della Guardia di Finanza, ha tratto in arresto SAIIDI Haykel nato in TUNISIA il 03/02/1988 e BEN MOUHAMED WERTANI Nader nato in TUNISIA il 01/01/1996, per essersi associati unitamente ad altri soggetti di origine libica al fine di procurare clandestinamente in Italia l’ingresso di numerosi extracomunitari per trarne ingiusto profitto. Reato aggravato dal fatto di aver procurato l’ingresso illegale in violazione delle disposizioni del Testo Unico sull’Immigrazione di cittadini extracomunitari, effettuando il trasporto via mare verso il territorio italiano di 233 cittadini proveniente dalla Nigeria, Siria, Eritrea, Mali, Ghambia e Marocco.
Riportiamo i fatti come si sono svolti e con alcune testimonianze che sono già state pubblicate i altre occasioni:
Alle 11,55 del 09/05/2014, su disposizione dell’autorità italiane, la nave portacontainer M/V BC HAMBURG maltese, veniva dirottata a 50 miglia circa dalle coste libiche per effettuare un’operazione S.A.R.. Alle ore 13,15, intercettata la barca in difficoltà la nave maltese iniziava le operazioni di recupero. Successivamente alle successive ore 14,10, terminate le operazioni di trasbordo, la suddetta motonave su indicazione del comando di Roma dirigeva verso il porto di Pozzallo designato quale punto di sbarco ove giungeva alle ore 18,00.
Alle ore 19,30 avevano inizio le operazioni di sbarco che terminavano alle ore 21,00 circa. Tutti i migranti, 190 uomini e 43 donne (60 bambini) venivano fatti accedere al C.P.S.A. di Pozzallo. Giunta la nave in banchina l’Ordine Pubblico veniva gestito dal Funzionario della Polizia di Stato della Questura di Ragusa coadiuvato da oltre 40 uomini, i soccorsi per chi ne aveva necessità venivano affidati all’ASP di Ragusa presente con 8 medici e 5 ambulanze, l’assistenza ai migranti era ad appannaggio della Croce Rossa Italiana e della Protezione Civile.
Una volta fatti scendere dalla nave, i migranti raggiungevano a bordo di pullman il centro per immigrati di Pozzallo che poche ore prima era stato svuotato per l’occasione con il trasferimento di tutti gli ospiti a mezzo voli charter in nord Italia. L’Ufficio Immigrazione della Questura di Ragusa e la Polizia Scientifica si occupavano di identificare gli ospiti uno per uno.
Come sempre, la Squadra Mobile di Ragusa collaborata dalla Guardia di Finanza, le indagini (così come le altre attività della Polizia di Stato) le iniziava salendo a bordo della nave che aveva trasportato i migranti. I poliziotti, appena approdata la nave hanno iniziato a cercare indizi e segni su ogni migrante che potessero essere utili per identificare gli scafisti.
L’esperienza professionale degli operatori di Polizia Giudiziaria è tale da individuare i pochi elementi utili al momento dello sbarco. Anche in questo caso i due tunisini sono stati traditi dai calli sulle mani, indice di lavorare per mare con i segni del logorio delle cime; abbronzatura sul corpo, tipico di chi naviga; grasso dei motori vetusti sotto le unghie e per finire gli odori, loro di sicuro sono quelli ridotti meno male, i migranti sono costretti a subire condizioni disumane, loro no. Proprio da questi segni e dalla nazionalità di provenienza gli investigatori della Squadra Mobile isolavano subito gli unici due tunisini a bordo. La nazionalità non è mai un preconcetto, un “marchio” da scafista, ma di sicuro un campanello d’allarme in quanto i tunisini per raggiungere clandestinamente l’Italia non lo fanno partendo dalla Libia ma dalle loro coste, per di più con imbarcazioni molto piccole o a bordo di pescherecci. Perché quindi un tunisino va fino in Libia per partire? Ecco questo è un indice rivelatore che i soggetti di origini tunisine facciano parte dell’organizzazione libica offrendo doti da comandanti di pescherecci.
Dopo una prima ricognizione sulla nave e l’isolamento dei sospettati (che aiuta moltissimo per dare serenità ai testimoni), iniziava una seconda fase, quella di entrare in empatia con i migranti che per la Polizia sono i potenziali testimoni. Basta poco a volte, una bottiglia d’acqua, una sigaretta o una pacca sulla spalla accompagnata da un sorriso e chi è onesto ti aiuta. Spesso però, vi è una grande diffidenza nei confronti della Polizia perché i migranti vengono da paesi lontani con culture completamente diverse e sistemi di governo completamente diversi, dove la Polizia non è rispettata ma temuta e quindi hanno paura. Anche in questo caso è stata dura trovare chi avesse voglia di raccontare la storia. Uno dei migranti avvicinato da uno degli investigatori della Squadra Mobile anziché parlare ha mostrato al poliziotto un telefonino con le immagini da lui videoriprese. In un perfetto inglese, lui, di origini siriane, faceva presente che non voleva rimanere in Italia e che avrebbe fornito il video ma non voleva presenziare al processo perché voleva raggiungere la famiglia in Svezia. “Ho girato questo video per ricordo, voglio far vedere un giorno ai miei figli cosa abbiamo rischiato per la libertà, per fuggire dalla Siria, dalla guerra”.
Alla Squadra Mobile bastava questo, difatti il video era già un tassello fondamentale per le indagini, i poliziotti sapevano così da dove iniziare.
Altro aiuto importante veniva dai mediatori culturali e dagli interpreti che assistono la Polizia Giudiziaria nell’intervistare i migranti. Loro iniziano a fidarsi quando parlano la stessa lingua a volte addirittura si conoscono, vengono dallo stesso paese, dallo stesso villaggio.
Individuati i sospettati ed i potenziali testimoni iniziava il lungo lavoro della verbalizzazione delle dichiarazioni, sempre difficili da mettere nero su bianco nonostante l’esperienza decennale della Squadra Mobile nella Provincia di Ragusa, ormai diventata quotidiana.
Anche in questo caso fondamentale è stato tradurre gli sms ricevuti dai due scafisti che erano entrambi in possesso di un telefono cellulare. Il contenuto era chiarissimo, tanto che si leggeva che erano stati accreditati 10.000 dinari libici (6.000 euro) sul loro conto mediante transazione elettronica. Anche questo elemento è stato importantissimo. Inoltre ai due tunisini sono stati sequestrati 2700 dollari USA.

LA VIDEOTESTIMONIANZA

“Io vi aiuto ma non chiedetemi di rimanere in Italia un solo giorno in più devo andare a trovare la mia famiglia in Svezia; ecco questo è il mio telefono cellulare prendete tutti i video, ricordo bene di aver ripreso per ricordo anche il capitano della barchetta sulla quale mi trovavo; ai miei figli devo far capire cosa ho fatto per loro e quanto abbiamo rischiato per avere la libertà, per fuggire dal nostro paese in guerra”.
Così un giovane siriano interpellato appena entrato al centro di primo soccorso ed assistenza. Si capiva subito che aveva qualcosa da dire, voleva parlare ma appena gli investigatori della Squadra Mobile gli si sono avvicinati ha precisato con le parole quasi disarmanti sopra riportate quale fossero le sue intenzioni. Il video è stato di fondamentale aiuto perché ha permesso di indirizzare le indagini sin da subito. Inoltre i due tunisini non potranno di certo dire di non aver condotto la barca visto che il giovane siriano li ha ripresi entrambi.

LE TESTIMONIANZE

quando è iniziata la guerra in Siria, assieme alla mia famiglia ho lasciato il paese e ci siamo stabiliti in Libia. Tuttavia anche la situazione in Libia non era tale da soddisfare le mie ambizioni di vita e quindi ho deciso di trovare delle alternative, quali quella di un nostro trasferimento a mezzo di uno di quei viaggi clandestini che notoriamente partono per l’Italia. Tramite dei miei connazionali ho contattato a Tripoli tale ****, un libico che appartiene ad una organizzazione criminale che organizza traversate dalla Libia verso l’Italia. Questi mi ha detto che era possibile dietro il corrispettivo di 2.000 Dollari americani a persona. Abbiamo quindi deciso di intraprendere il viaggio, compresa mia moglie. Essendo in quindici abbiamo corrisposto la somma di 30.000 Dollari USA ed il 7 maggio scorso siamo stati accompagnati presso un grosso capannone. Dentro il capannone eravamo numerosissimi e costretti a dormire per terra. Siamo stati chiusi dentro e non potevamo uscire. Il giorno seguente verso le 18,00 siamo stati trasferiti in un’altra struttura più grande vicino al mare. Siamo rimasti alcune ore ed alle ore 01,00 circa del 09 maggio siamo stati trasportati tramite un grosso autocarro con cassone chiuso presso una vicina spiaggia, il viaggio è durato pochi minuti. A gruppi di circa 15 persone siamo stati imbarcati su dei gommoni per poi, dopo un tragitto di circa tre minuti, essere trasbordati sulla barca con cui abbiamo intrapreso il viaggio dalle coste libiche verso l’Italia. A farci sistemare sulla barca erano gli stessi libici che non esitavano a colpirci con violenza per farci affrettare nella sistemazione a bordo del natante. Quando sono salito sulla barca al timone vi era già un giovane, il capitano dell’imbarcazione che è poi rimasto alla conduzione del natante per tutto il tragitto, controllando la rotta con un apparecchio GPS ed una bussola. Oltre al predetto giovane, di nazionalità tunisina, vi era un altro tunisino che si alternava con lui al timone. Con la mia famiglia ho preso posto nella parte centrale della barca. Alle ore 03,00 siamo partiti e dopo circa 11 ore di navigazione il capitano ha chiamato i soccorsi con un telefono satellitare. Quando sono arrivati i soccorsi il capitano ha consegnato il GPS ed il telefono al suo amico tunisino che credo lo abbia gettato in mare. I soccorritori parlavano in lingua italiana ed hanno chiesto di consegnare la strumentazione. Ha parlato con loro solo il capitano che si esprimeva in lingua italiana e che gli ha consegnato solo la bussola, non so che fine abbiano fatto gli altri strumenti. Poi siamo stati trasbordati su una grossa nave portacontainer che ci ha condotti nella giornata odierna presso questo sito portuale.
Sulla nave che ci ha soccorsi ci hanno sfamato in quanto non abbiamo mangiato nulla ed abbiamo bevuto solo un po’ d’acqua durante il viaggio sulla barchetta fornitaci dai libici. Ero però abbastanza tranquillo perché in Libia siamo stati informati dai componenti dell’organizzazione che ad un certo punto tramite un telefono satellitare sarebbero stati chiamati i soccorsi, d’altra parte la nostra imbarcazione non era idonea ad una traversata fino all’Italia.

GLI ARRESTATI

Dalle risultanze investigative è emerso chiaramente che questo viaggio verso le coste italiane era stato organizzato sia da cittadini libici che dai tunisini odierni arrestati; questi ultimi avevano il compito di condurre l’imbarcazione per 6.000 euro ciascuno. Addirittura i due tunisini parlavano italiano, a stento ma lo parlavano, anche questo sintomo del fatto che sono già stati qui, forse come scafisti di qualche vecchio viaggio. Diverse decine di tunisini (così come risulta da attività della Polizia Giudiziaria) si stanno recando in Libia al fine di arruolarsi tra le fila degli organizzatori libici per svolgere il ruolo di scafisti. Rischiano 15 anni di carcere ma per quel denaro non esitano ad imbarcasi e condurre le piccole carrette del mare cariche di migranti a rischio della loro vita a differenza dei libici che organizzano tutto dalla loro terra non occupandosi mai di condurre le imbarcazioni per i viaggi verso l’Italia.

L’ATTIVITA’ DI POLIZIA GIUDIZIARIA

Fino ad oggi sono ben 36 gli scafisti arrestati nel 2014 dalla Squadra Mobile con la collaborazione della Sezione Operativa Navale.

Il lavoro della Squadra Mobile di Ragusa da oggi in poi sarà di sicuro più agevole in quanto su disposizione del Servizio Centrale Operativo hanno già preso servizio 5 poliziotti di grande esperienza provenienti da Questure diverse che faranno parte della “Squadra Sbarchi” ormai di fatto costituta all’interno della Seconda Sezione della Squadra Mobile che si occupa di criminalità straniera.
In corso delicate attività, anche di studio del fenomeno migratorio, in stretta correlazione con le Forze di Polizia straniere mediante il coordinamento del Servizio Centrale Operativo e del Servizio per la Cooperazione Internazionale.

“Abbiamo costituito di fatto in seno alla Squadra Mobile di Ragusa una “Squadra Sbarchi” che interviene sin dai primi istanti dell’arrivo della nave soccorritrice. Gli uomini sono motivati ed hanno acquisito una grande professionalità, consapevoli che ogni attività che conducono è diversa dall’altra e che le difficoltà sono enormi per raccogliere gli elementi di prova da produrre alla Procura della Repubblica con la quale si lavora in piena sinergia”
“Siamo pronti ad affrontare ogni situazione che si presenterà nel corso di questo delicato periodo per la Polizia di Stato sul fronte immigrazione. I rinforzi ricevuti in termini di uomini ci hanno dato grande forza operativa, oltre alla collaborazione che riceviamo dalle altre Forze di Polizia”.

di Redazione12 Mag 2014 20:05
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