Gas dalla Sicilia

< class="t-entry-title title-giornale-before h3">>

Chi vi scrive ha sempre mostrato una certa propensione all’utilizzo delle risorse del sottosuolo forse perchè sono cresciuto in un città, Ragusa, che ha sempre convissuto e bene con il petrolio. Oggi di fronte ad una crisi energetica dovuta ad una guerra che speriamo finisca presto non posso fare a meno di notare che in questo settore i Ragusani sembrano aver dimenticato tutto quello che gli è stato dato grazie a quei giacimenti del sottosuolo e mostrano paura a parlare di benefici che potrebbero venir fuori da tali risorse. Sappiamo, è vero, che non potremmo risolvere i problemi dell’intero paese ma anche un piccolo risultato aiuta a liberarci da certe dipendenze. E’ bene dire che da fonti certe, in seguito a precise ricerche in provincia di Ragusa ci sono notevoli giacimenti sia di oli che di gas. Ed il gas proprio in questi momenti è al centro dell’attenzione. Un progetto che mira allo sfruttamento di queste risorse è già in atto ma occorre che la stessa popolazione sia cosciente della sua importanza anche in termini di ritorni in funzione delle royalties per il territorio. Ora arriva la notizia che nel mare agrigentino Eni ed Edison   hanno scoperto un nuovo giacimento di gas nel Canale di Sicilia. Circostanza che andrà così ad aumentare il potenziale produttivo italiano sul fronte degli idrocarburi. In base alle prime stime il nuovo giacimento di gas, individuato dal gruppo del “Cane a sei zampe” e da “Edison”, a regime potrà erogare 170 mila metri cubi al giorno. Un piccolo tassello al fabbisogno energetico nazionale, pari a circa 80 miliardi di metri cubi annui, che rappresenta però un passo avanti nello sviluppo della produzione nazionale, cui punta anche il governo con il nuovo Piano energetico nazionale, annunciato per la prossima primavera.
Il gas è, in termini quantitativi, la prima fonte di alimentazione delle centrali elettriche italiane. L’Italia produce il 60% della propria energia dal gas, ma su questo fronte è tutt’altro che autosufficiente, visto che è costretta a massicce importazioni. 
Il nuovo giacimento è situato a circa 20 chilometri al largo dalle coste di Agrigento, ad una profondità di circa 500 metri, ed è stato localizzato tramite la perforazione del pozzo denominato “Argo 2”. Ma tutta questa zona nelle acque siciliane è ricca di gas: sempre nel Canale di Sicilia sono situati “Cassiopea”, “Panda” ed “Argo 1”. Ed è già allo studio un piano di sviluppo accelerato per garantire una sinergia ottimale tra questi quattro giacimenti, che insieme hanno un potenziale stimato in 18 miliardi di metri cubi di gas.
Eni ed Edison operano insieme in quest’ambito e, in particolare per quanto riguarda Argo 2, dove Eni svolge il ruolo di operatore con il 60%, mentre il restante 40% fa capo ad Edison.

Questo nuovo successo del pozzo esplorativo Argo 2, a pochi mesi dalla scoperta del giacimento Cassiopea, testimonia il costante impegno di Edison nella ricerca di idrocarburi. In questo settore Edison ha l’obiettivo di incrementare le riserve e la produzione annua, con investimenti – nel periodo 2008-2013 – di oltre 2 miliardi di euro, dei quali la metà destinati alla messa in produzione di riserve già provate in Italia, oltre che in Croazia e Algeria.

Lo sblocco dello sfruttamento degli idrocarburi nazionali trova una sua precisa collocazione anche nel Piano energetico nazionale. Il ministro dello Sviluppo economico, ha più volte insistito su questo aspetto, sottolineando che, dove necessario, bisogna anche superare le eventuali situazioni di stallo legate a iter autorizzativi e opposizioni locali. “Sotto terra abbiamo un valore stimato intorno ai 100 miliardi di euro”, ha ripetuto nei giorni scorsi alla cerimonia per il nuovo rigassificatore di Rovigo.

La domanda da porsi è come mai puntiamo a nuovi rigassificatori e non utilizziamo le potenzialità che già abbiamo? Ricondiamoci che i rigassificatori hanno un notevole impatto ambientale in quanto ci vuole molta energia per portare il gas a basse temperature allo stato liquido, trasportarlo e poi riportarlo allo stato naturale.

Trent’anni fa estraevamo 30 miliardi di metri cubi l’anno, oggi secondo lo stesso ministro Roberto Cingolani, sarebbero anche meno di circa 4 miliardi, a fronte di un consumo che lo scorso anno è stato di 76,1 miliardi di metri cubi. In generale il nostro Paese avrebbe, stando ad alcune stime tutte da verificare, giacimenti valutati attorno ai 350 miliardi di metri cubi, mentre oggi siamo costretti ad importarlo e per il 37,8 per cento arriva dalla Russia.

 In Italia i giacimenti attivi sono circa 1.300, anche se quelli che vengono realmente utilizzati con continuità superano di poco quota 500. Dei quattro miliardi di metri cubi di gas italiano, il 54,6 per cento arriva dai giacimenti in mare e il resto dalla terraferma, che poi significa dalla Basilicata che da sola vale il 34% di quel 45% proveniente dai pozzi di terra.
Il problema principale è che il costo dell’estrazione del gas da un singolo giacimento aumenta nel tempo e a volte diventa economicamente svantaggioso proseguire e poi non tutti i siti hanno le stesse capacità né si può estrarre alla medesima rapidità.

Quindi bisogna che le compagnie estrattive, che poi sono molte volte anche quelle che lo distribuiscono vengano regolamentate meglio e in una ottica strategica nazionale ed europea e non lasciate al loro libero arbitrio di estrarre o compare da altri paesi, solo in funzione del prezzo di mercato. Se ti do una concessione, mi garantisci una estrazione minima e uno stoccaggio, ma soprattutto che la concessione includa tutto il ciclo estrattivo, fino al fine vita del pozzo e al suo relativo smantellamento, per non trovarsi “piattaforme fantasma” in mezzo al mare o sulla terra, come accade attualmente.

di Direttore15 Mag 2022 11:05
Pubblicità