Malattia subdola e debilitante per gli anziani
Il doppio tampone sancisce la fine della fase acuta della malattia da Sars-CoV-2. Ma per un recupero completo, nella maggior parte dei casi, occorrono diversi mesi. E’ questa la valutazione che arriva da Anteas Ragusa con riferimento a una delle fasce più deboli della popolazione, quella degli anziani. “Sulla scorta dei consigli medici,
soprattutto da parte di specialisti, che abbiamo raccolto in queste ultime settimane – afferma il presidente di Anteas Ragusa – i pazienti colpiti dal Covid- 19 vanno innanzitutto identificati. Poi, trattati. E infine, se necessario, supportati per tornare a fare ciò che era nelle loro possibilità prima della malattia. La riabilitazione è uno dei temi posto sul tavolo dall’emergenza coronavirus. Non meno rilevante degli altri, sebbene l’elevata velocità dei contagi e la sospensione delle prestazioni non
urgenti abbiano inizialmente fatto scivolare in secondo piano il recupero dopo la fase acuta della malattia. Ma adesso occorre darsi da fare per identificare le giuste vie che ci portino a recuperare la piena efficienza fisica. Un percorso che, soprattutto per chi ha affrontato un ricovero in terapia intensiva, si preannuncia lungo e graduale”.
Oltre a essere subdola, la polmonite interstiziale che caratterizza la malattia provocata dal nuovo coronavirus è molto debilitante. “I racconti dei medici e dei pazienti che hanno registrato un’evoluzione positiva del Covid-19 sono pressoché unanimi. L’esito negativo del doppio tampone dà una risposta – parziale, in alcuni casi – al problema della contagiosità. Ma non pone fine al percorso di malattia. Le conseguenze legate al prolungato allettamento, le problematiche pregresse e attuali di tipo respiratorio richiedono un sostegno adeguato. Anche perché, quasi sempre, occorre fare i conti con persone molto debilitate, che mostrano segni di astenia e difficoltà di movimento”. Aspetti a cui occorre aggiungere quelli
della sfera cognitiva ed emotiva: dal disorientamento alla perdita di gusto e olfatto.
La priorità, però, è rappresentata dal deficit respiratorio. “Una volta tornati a casa, i pazienti raccontano di essere molto stanchi – dice ancora Schininà – anche dopo aver svolto attività routinarie, come per esempio una doccia. Al momento, però, non esistono linee guida condivise per la fisioterapia respiratoria rivolta ai pazienti colpiti dal Covid-19. Quello che si sa è che però ne abbisognano pressoché tutti, tra coloro che sono stati curati in ospedale: anche in ragione dell’elevata età media (64 anni) di
chi ha sviluppato i sintomi più gravi della malattia. Intensità e durata della
riabilitazione dipendono, in linea generale, da quanto lunga è stata la degenza. La decisione finale deve però essere assunta soltanto dopo aver valutato il singolo caso che si ha di fronte. I più debilitati – stando a quanto visto finora e com’era logico aspettarsi – sono i pazienti che hanno vissuto per settimane in terapia intensiva. Ma anche per tutti gli altri, reduci da almeno 14 giorni di ricovero nei reparti di malattie infettive o pneumologia, un periodo di riabilitazione è quasi sempre necessario.
Perché, se è vero che l’infezione è alle spalle, il ritorno alla vita «pre Covid-19» non è così semplice: questo è quanto descrive chi da mesi combatte ogni giorno contro questa malattia”.