La verità sullo scioglimento del comune di Scicli.
Ogni tanto, anche in questi momenti di pandemia, bisogna occuparsi di altri argomenti perchè, prima o poi si dovrà riprendere a vivere normalmente e sapere cosa c’è intorno a noi, al di fuori di mascherine e virus, è importante per sentirsi meglio. In questi giorni si parla tanto della relazione della commissione antimafia presieduta da Claudio Fava che pone l’attenzione su intrecci, certamente pensati ma mai appurati e neanche così esplicitamente riportati.
In seguito alla sua pubblicazione abbiamo riscontrato diversi interventi da parte di politici di varia estrazione oltre al comunicato del sindaco Giannone che, pur dicendo cose giuste, fa la sua parte di primo cittadino della città interessata. Poi consiglieri comunale e altri esponenti. Nello Dipasquale ricorda che era contrario a questo scioglimento ma nessuno gli diede una mano, stampa compresa, in questo tentativo di combattere la decisione di sciogliere il comune. Poi i 5stelle con Stefania Campo “Arrivati a questo punto, ritengo di poter affermare che non tutti gli scioglimenti per mafia dei consigli comunali possono essere considerati giusti e corretti a prescindere. A volte si commettono degli errori di valutazione in assoluta buona fede, a volte le informazioni raccolte non premiano la verità oggettiva, altre volte, come nel caso sciclitano, sembra oramai accertato, sia nelle aule giudiziarie competenti che grazie ad una storicizzazione della vicenda in sé, che l’Amministrazione guidata da Susino sia stata vittima di una gravissima “azione politica” del governo dell’epoca oppure, peggio ancora, di una manipolazione e strumentalizzazione ordita a tavolino, e di cui, chiaramente, andrebbero individuati responsabili e correi . Ed infine un comunicato di Articolo Uno che dichiara lo scioglimento del Consiglio comunale di Scicli per infiltrazioni mafiose nell’aprile 2015 potrebbe essere l’esito di uno “sviamento di potere”, orchestrato allo scopo di sbarazzarsi della Giunta Susino e della compagine politica che la sosteneva che si erano opposte ad un progetto, quello proposto dall’ACIF in contrasto con gli interessi e con la naturale vocazione della città di Scicli. Emerge altresì il ruolo assai discutibile avuto nella vicenda da alcuni Senatori della Repubblica e di alcuni giornalisti.
A nostro avviso proprio dopo questa relazione della commissione occorre rivedere molte idee che ci hanno accompagnato nel tempo anche cercando nuovi metodi che potrebbero essere meno in balia del malaffare mafioso. Il concetto di rifiuti come risorsa produttiva per il territori e forse la chiave di volta del problema.
Per fare chiarezza ci permettiamo di utilizzare un articolo apparso su “grandangolo” un giornale on line di Agrigento che ci è sembrato abbastanza equilibrato. Eccolo:
Il presidente della Commissione Caludi Fava ha illustrato i contenuti principali della relazione approvata all’unanimità dai componenti e che delinea un quadro “opaco e a tratti imbarazzante”: l’accordo “a tavolino” dei raggruppamenti aggiudicatari della convenzione per la realizzazione dei termovalorizzatori voluti da Cuffaro; la stagione delle generose autorizzazioni rilasciate in favore dell’impiantistica privata durante i governi successivi; le molte anomalie che hanno caratterizzato i relativi iter autorizzativi; le interferenze pubbliche e private; la pervasività della criminalità organizzata; il ricorso agli affidamenti diretti negli enti locali (almeno nel 33% dei Comuni siciliani); l’aumento significativo delle pratiche corruttive sanzionate dall’autorità giudiziaria (per ultima, la sentenza di condanna nei confronti di un funzionario regionale, l’architetto Cannova, e di alcuni imprenditori del settore, tra i quali l’ex patron dell’Oikos S.p a. Abbiamo ricostruito vent’anni di scelte politiche ed amministrative per capire quali fossero le ragioni d’un sistema ancora fortemente imperfetto che prevede, come unico esito possibile, il conferimento finale alle grandi discariche private”, ha affermato Fava, evidenziando come sia emersa una sorta di subordinazione della classe dirigente rispetto a “gruppi di imprenditori che hanno rallentato, anche per responsabilità di una politica compiacente, ogni progetto di riforma che puntasse a un’impiantistica pubblica”. “Le responsabilità dei governi e dell’amministrazione regionale sono gravi”, aggiunge Fava. “Abbiamo ascoltato presidenti, assessori che per vent’anni, con pochissime eccezioni, hanno di fatto abdicato alla loro funzione di indirizzo politico, rendendosi invece disponibili ad un sistema di interferenze e di sollecitazioni che ricordano le vicende legate al sistema Montante”.
Inquietante, poi, il passaggio riservato ad alcuni scioglimenti per infiltrazioni mafiose disposti in Sicilia, a fronte di inchieste che si sono tutte concluse con il proscioglimento degli amministratori locali indagati o rinviati a giudizio. A riguardo, la Commissione Parlamentare Antimafia ha parlato di uso “disinvolto e strumentale” di tale strumento, ipotizzando che, in talune circostanze come nei casi di Scicli, Siculiana e Racalmuto, sia “oggettivamente servito a rimuovere, assieme alle amministrazioni comunali, le posizioni contrarie che quelle amministrazioni avevano formalizzato sulla ventilata apertura o sull’ampliamento di piattaforme private per lo smaltimento dei rifiuti”.
Un’analisi ulteriore e’ stata condotta dalla Direzione investigativa antimafia nella relazione relativa al semestre gennaio-giugno 2019, all’interno della quale e’ presente uno specifico focus dedicato proprio al rapporto mafia-rifiuti. Con riferimento al contesto siciliano, la Dia indica le due principali modalita’ di accesso utilizzate dalle cosche per consolidare la propria posizione di mercato: gli affidamenti diretti da parte degli enti locali dei servizi di raccolta, trattamento e conferimento ad imprese riconducibili a Cosa nostra o alla Stidda; le pratiche estorsive e intimidatorie nei confronti delle imprese sane che vengono fidelizzate, in modo da acquisirne il controllo. Soffermandosi sulla prima ipotesi, la Dia evidenzia come gli affidi diretti ad aziende collegate alla criminalita’ mafiosa siano stati agevolati dal costante ricorso alle pratiche emergenziali: “Le investigazioni hanno rivelato come l’affidamento sia spesso avvenuto (e prorogato) invocando, proprio come accaduto in Campania, una situazione emergenziale – spesso, peraltro, non debitamente giustificata od addirittura apparentemente provocata – ed attraverso la collaborazione, volontaria o condizionata, dei cosiddetti colletti bianchi: amministratori, funzionari e dipendenti pubblici, tecnici, imprenditori, professionisti, non organici all’organizzazione criminale, ma che comunque contribuiscono a realizzare strategie operative per favorire ed accrescerne le attivita’”. E, a proposito di questo contagio degli apparati della pubblica amministrazione, la Dia aggiunge: “Le infiltrazioni ed i condizionamenti della Pubblica amministrazione costituiscono, in Sicilia, uno schema ricorrente, anche se realizzato con modalita’ di volta in volta diverse”. Attraverso queste due collaudate modalita’ – un uso strumentale degli affidi diretti e il ricorso a pratiche estorsive – l’infiltrazione consente alle cosche criminali l’accesso ai fondi pubblici e, al tempo stesso, offre loro la concreta prospettiva di conseguire posti di lavoro per i propri affiliati, i familiari o, anche, soggetti estranei, favorendo e alimentando una sorta di ingannevole consenso sociale”.
La relazione ha voluto offrire una lettura critica, ed assolutamente inedita, anche sui metodi e i criteri di affidamento del servizio di raccolta dei rifiuti urbani. Sono stati raccolti e messi a confronto tra loro i dati di 381 comuni (sui 390 della Sicilia) forniti dall’assessorato regionale competente, dagli uffici UREGA e dalle stesse amministrazioni comunali.
Nelle conclusioni, la Relazione esprime un’urgenza, e cioè che “occorre rendere la gestione del ciclo dei rifiuti in Sicilia una risorsa produttiva ed economica ed al tempo stesso un’occasione di dignità civile collettiva”, ribadendo che per farlo è necessaria “una risposta delle istituzioni e della politica rapida, alta e ferma alle pratiche corruttive, al prevalere degli interessi privati, a certe inerzie della funzione amministrativa”.
L’auspicio da parte della Commissione, infine, è quello di dotarsi di una governance pubblica “in grado di individuare e realizzare tutte quelle condizioni tecniche, logistiche ed organizzative che consentano di adeguare le modalità di erogazione dei servizi di igiene urbana ed ambientale agli standard europei, uscendo dalla logica emergenziale e dalla ricerca di soluzioni di corto respiro”, una logica che finora, così come scritto dalla Commissione, ha finito “per svilire qualsivoglia aspetto programmatico o per favorirne il repentino accantonamento”.