Le strane elezioni.
Un’aria singolare, quasi sospesa, si respirava oggi tra le mura del Palazzo della Provincia di Ragusa. Il fermento che di solito accompagna un appuntamento elettorale, la vibrante attesa del responso popolare, qui appariva stranamente attenuato. Il seggio, allestito per eleggere il nuovo Presidente e il Consiglio del Libero Consorzio Comunale, pullulava sì di figure istituzionali – consiglieri comunali in tenuta festiva giunti da ogni angolo della provincia, onorevoli regionali e svariati esponenti politici – ma emanava una sensazione ben diversa da quella di una genuina festa democratica.
Per l’osservatore esterno, la discrepanza era palpabile. Siamo abituati a vivere le elezioni, a qualsiasi livello, come un momento corale, un’esplosione di partecipazione civica dove ogni cittadino maggiorenne, forte del principio di suffragio universale sancito nel lontano 1946, esercita con fierezza il proprio diritto di voto. Oggi, in quel primo piano del palazzo provinciale, quell’anima popolare sembrava assente, evaporata.
La scena ricordava più un consesso ristretto, un club esclusivo dove i protagonisti si conoscevano, si salutavano con calore dopo magari lunghe assenze, e coglievano l’occasione per scambiarsi opinioni, spesso piccanti, sull’attualità politica locale. Non è passata inosservata, in questo teatrino istituzionale, la chiassosa comparsa del sindaco di Ragusa, giunto con un seguito nutrito di consiglieri comunali, quasi una gita domenicale organizzata per sostenere un leader percepito come un insaziabile accumulatore di cariche.
Eppure, al di là dei convenevoli e dei sussurri tra colleghi, l’impressione dominante era quella di un evento autoreferenziale. Un microcosmo politico che celebrava se stesso, compiaciuto della propria esistenza e della propria rilevanza. Lontano dal clamore e dalla vitalità di un’elezione realmente popolare, la giornata al Palazzo della Provincia si è configurata come uno spettacolo per pochi intimi, soddisfatti di occupare quella posizione nella società e di poterla ribadire in un contesto ovattato, dove il vero protagonista, il cittadino elettore, restava un’entità lontana e quasi dimenticata. Un’elezione, in definitiva, che sembrava parlare più a se stessa che al territorio che era chiamata a rappresentare.