Un dibattito sull’utilità o meno del Ponte sullo Stretto
Si è svolto presso la sede dell’Università eCampus di Catania il convegno
“Il Ponte di Messina rilancio necessario per il decollo del Sud”, frutto
della sinergia organizzativa di Università eCampus, Confindustria Catania,
Ordine degli ingegneri di Catania, Fondazione dell’Ordine degli ingegneri
di Catania, Consulta degli Ordini degli Ingegneri di Sicilia, Federazione
degli Ordini degli ingegneri della Calabria, Archimed, Ordine degli
architetti di Catania, Fondazione dell’Ordine degli architetti di Catania e
Collegio dei geometri e dei geometri laureati di Catania.
Durante i saluti istituzionali, il sindaco di Catania, Salvo Pogliese, ha
sottolineato «la grandissima valenza economica dell’opera per tutta la
regione e per il Sud Italia, non solo per gli anni della costruzione, che, va
da sé, vedrebbero un boom occupazionale senza precedenti, ma per le
epoche a venire. La verità è che, in un momento così singolare della storia
come l’attuale, dobbiamo tornare a sognare».
Nella successiva tavola rotonda, Salvo Andò, già ministro della Difesa e
attualmente presidente di Odimed, l’Osservatorio per i diritti umani nel
Mediterraneo, ha evidenziato come «il Ponte sullo Stretto, una volta
realizzato, sarebbe il simbolo di una certo consistente inversione di
tendenza nei rapporti fra il Nord e il Sud del Paese. L’emergenza dovuta
alla Pandemia, ha dimostrato, se mai ve ne fosse stato bisogno, che c’è una
grande tendenza alla diseguaglianza in Italia. È questo è il nostro vero
grande problema odierno, il problema che urge risolvere direi prima di
ogni altro».
Dal canto suo, Francesco Attaguile, già sindaco di Catania e a lungo
rappresentante della Sicilia presso le istituzioni dell’Unione Europea,
intervenendo come presidente del Gruppo europeo di cooperazione
territoriale fra le Isole mediterranee, ha indicato «la necessità di guardare
in un’ottica europea la questione dello sviluppo del Mezzogiorno d’Italia,
determinante per la ripartenza dell’Italia e dell’Europa. Venendo meno
l’asse atlantico che dominava il mondo, spostatisi a Sud i motori
dell’economia globale divenuta policentrica, le regioni meridionali
dell’UE assumono un ruolo nuovo e centrale nei rapporti con quei poli e
con l’interscambio che attraversa il Mediterraneo. Le infrastrutture
logistiche, a partire dal ponte e da ferrovie veloci, sono il presupposto per
costruire questo orizzonte, insieme alla consapevolezza delle classi
dirigenti locali, troppo spesso prigioniere di visioni clientelari. Ecco
perché occorre una forte spinta dal basso per ribaltare la visione che
impedisce questo riposizionamento».
Luigi Bosco, ingegnere strutturista, già assessore ai Lavori pubblici del
Comune di Catania e della Regione Siciliana, dopo aver precisato che
«oggi parlare di tunnel (opzione al ponte recentemente introdotta nel
dibattito pubblico) è un modo politico di dire no senza pronunziare la
parola no», ha evidenziato «i molti temi, ognuno dei quali singolarmente
sufficiente ad affermare la necessità della realizzazione del ponte: la
possibilità di avere l’alta velocità anche in Sicilia; la possibilità di captare
gli ingenti flussi commerciali che attraversano il Mediterraneo; il
potenziamento dello sviluppo agricolo e di quello turistico, con il ponte
ulteriore attrattore (stile Tour Eiffel o Golden Gate); la possibilità di lavoro
reale per la sua realizzazione; il rilancio dell’immagine e della identità
siciliana nel mondo. Viceversa, gli oppositori parlano di zona sismica e
pericolo vento, di sostenibilità ambientale, di precedenza da accordare alle
infrastrutture locali, di pericolo di infiltrazioni mafiose nel business. Sono
tutti argomenti facilmente confutabili. Mi limito solo al problema
terremoti: tutti gli ingegneri che si occupano di dinamica delle strutture
sanno bene che un elemento ad alto periodo di vibrazione sente
pochissimo l’effetto dei terremoti. Le restanti osservazioni sono tutte a mio
avviso altrettanto facilmente confutabili, anche perché nascono da
ignoranza o prevenzione».
Per Giovanni Mollica, ingegnere esperto di trasporti, «i corridoi sono
ovunque collettori di flussi mercantili generatori di ricchezza. Ora, ogni
Paese deve crescere e contribuire a far crescere equilibratamente l’insieme.
Nel Mediterraneo passa il 19% dei traffici mercantili mondiali. Parte va al
Pireo, parte prosegue per Spagna e Mare del Nord. Purtroppo, la mancanza
di una rete logistica impedisce alla Sicilia e all’Italia di occupare un ruolo
economico e geostrategico. Diciamo che ottusi calcoli localistici hanno
indotto i governi a guardare solo verso Nord. Una visione che ha tolto peso
politico ed economico all’Italia intera, creando un vuoto nella strategia
europea».
Antonio Pogliese, dottore commercialista, nonché presidente del Centro di
documentazione, ricerca e studi sulla cultura dei rischi, ha invece puntato
l’attenzione sul grave problema dei costi di attraversamento dello Stretto:
«Calcoli alla mano, sarebbe possibile concludere che il Ponte di Messina,
ai fini della logistica e dei trasporti, non sarebbe utile, in quanto il sistema
di trasporto integrato gommato/mare è al momento più conveniente. Tale
analisi meramente “mercantile” non è però del tutto da condividere,
intanto perché non tiene conto del problema dei prodotti velocemente
deperibili. In ogni caso, non si può dimenticare che la Sicilia in generale e
Catania in particolare, dopo le significative crisi che si sono verificate nel
corso del 2019 con il fallimento di alcune importanti aziende e la
conseguente perdita di circa 3.000 posti di lavoro e nel corso del 2020 con
la pandemia Covid-19, hanno poche possibilità di sviluppo e poche scelte
fra modelli possibili: turismo, logistica e trasporti, anche nella prospettiva
che l’allargamento del Canale di Suez faccia diventare la Sicilia e Catania
una alternativa alla cosiddetta Via della Seta. Non c’è altro. In tale
disegno, assume un notevole valore l’implementazione del porto di
Catania e della perimetrazione dello stesso e del retro porto con le zone
economiche speciali».
Per Enzo Siviero, ingegnere e archistar di fama internazionale, rettore
dell’Università eCampus, «serve assolutamente cambiare prospettiva al
Sistema Paese. Il mio slogan per il Ponte è: se non ora, quando? I soldi vi
sono, il progetto pure! In cinque anni l’opera sarebbe transitabile e le
ricadute territoriali sarebbero enormi. Che cosa serve? Innanzitutto non
attendersi nulla da Roma. Sono le due regioni direttamente interessate che
devono fare fronte comune. Ricordo come la maggioranza della
popolazione delle due regioni lo vuole. E l’Europa pure. I tentennamenti
porteranno al nulla, sia chiaro, ora o mai più. Non dimentichiamo che lo
stop ai lavori – già iniziati! – avvenne per uno dispositivo di legge che ha
inoltre generato un contenzioso di 800 milioni di euro, oltre al danno di
immagine, visto che l’Italia, anche grazie alla pessima gestione di questa
vicenda, non è più considerata affidabile dagli investitori stranieri».