Brexit, il tradimento di una generazione
Le domande di tutti, in questi giorni marcati dal Brexit, sono sempre le stesse: cosa succederà adesso? Quale sarebbe il risultato in Italia? Conviene stare in Europa o hanno ragione loro? Tutti hanno cominciato a ripetere queste domande come un mantra, da quando hanno appreso il risultato del referendum britannico. L’unica certezza (per così dire) è costituita dalla prossima uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, e dalla consapevolezza che tale processo sarà lungo e complicato, tanto da durare come minimo due anni.
Ma la vicenda del Brexit deve essere lo spunto per un’altra riflessione: chi sono coloro che non vogliono l’Europa? L’antieuropeismo è davvero un sentimento così forte fra i popoli che compongono l’Unione? Perché la verità è che oltremanica le sensazioni più comuni registrate all’indomani del Brexit riguardano l’incertezza e il pentimento: si è pentito il premier Cameron, che aveva promosso il referendum scommettendo tutto sulla volontà britannica di restare nell’UE, e che adesso non può fare altro che annunciare le dimissioni; pare si sentano incerti i londinesi, dato che gli abitanti della città più multietnica d’Europa (un abitante su tre, a Londra, non ha origini inglesi) avevano votato in stragrande maggioranze per il remain; piangono miseria i mercati di tutto il mondo, spaventati dall’assenza di uno scenario certo. Ma coloro che si sentono incerti, pentiti, sconfortati e forse abbandonati, sono quei giovani cresciuti credendo nel mito dell’Europa.
Brexit, generazioni a confronto
Il risultato del Brexit ha messo nero su bianco un conflitto generazionale: da un lato gli under 25, la cosiddetta generazione Erasmus, abituata alla mobilità. Ragazzi e ragazze che lentamente e con difficoltà, ma non senza entusiasmo, cercavano di comporre il sentimento di appartenenza a qualcosa di più grande, insieme ai coetanei di tutta Europa. Dall’altro lato, gli over 50, che si sentono semplicemente traditi dal sogno europeo, che ben presto si è tramutato in un incubo di incapacità burocratica, incertezze, indecisione nei confronti di quei temi fondamentali e delicati (come l’immigrazione) che andavano affrontati da una leadership europea unita ed irremovibile nelle sue scelte; sono coloro a cui era stata promessa l’Europa, e che già con scetticismo avevano accettato di far parte dell’esperimento.
In Gran Bretagna, i dati parlano chiaro: a volere la Brexit sono state le periferie inglesi (la Scozia ha votato compatta per rimanere; a Londra, come già accennato, ha stravinto la volontà di non uscire dall’Europa), e soprattutto gli elettori appartenenti alle fasce d’età dei cinquantenni e dei pensionati: in altre parole, l’uscita della Gran Bretagna dell’Unione Europea è dovuta a quella parte dell’elettorato più facile da raggiungere dalla propaganda populista. Da cui, verrebbe spontaneo chiedersi se sia stata la vecchia generazione a tradire la nuova; la risposta più onesta, come sempre, è che la realtà è molto più complessa. È vero, oltre il 70% degli elettori tra i 18 e i 25 anni ha scelto l’Europa; tuttavia al referendum per il Brexit l’affluenza giovanile alle urne non si è avvicinata nemmeno lontanamente a quella degli elettori più maturi: la verità è che il voto è stato influenzato fortemente anche dall’astensionismo giovanile.
Ecco il vero tradimento generazionale: se la fascia di elettori tra i 18 e i 25 anni avesse preso veramente sul serio la possibilità di una vittoria del Brexit, quel risultato finale (52% dei leave contro i remain) probabilmente non sarebbe stato lo stesso. D’altro canto, i più anziani hanno creduto di più nel risultato a loro favore, recandosi in massa alle urne.
Così la vecchia generazione è stata lasciata libera di scegliere per il futuro di quella nuova, e i giovani inglesi (europeisti fino al midollo) non possono fare altro che accettare il risultato elettorale… per ora. Forse questo risultato non sta sussurrando parole al miele alle fazioni antieuropeiste del continente (cosa di cui molti si stanno convincendo in questi giorni, da Farage Le Pen), ma sta urlando un messaggio d’allarme ad un’intera generazione, che adesso dovrà sapere ascoltare.