Mobbing e dintorni

Un fenomeno subdolo. Esiste ma continua a passare sotto silenzio. Con una consistenza, in provincia di Ragusa, che si attesta intorno al 5% tra chi è occupato. Ma le cifre sono molto più importanti. Solo che rimangono sottostimate anche perché chi ne rimane vittima spesso neppure se ne rende conto. E’ il mobbing uno degli aspetti del disagio esistenziale affrontati ieri sera durante la conferenza promossa dall’ufficio diocesano per la Pastorale della salute con la collaborazione dell’Ordine dei medici, dell’Ordine forense e dell’associazione nazionale carabinieri. L’appuntamento, tenutosi nella chiesa di San Giuseppe Artigiano, nel capoluogo ibleo, è servito a focalizzare l’attenzione anche sullo stalking e sulle discriminazioni. Tra i presenti il capo di gabinetto della Questura, Giovanna Cassarino, e il comandante della Compagnia di Ragusa dei carabinieri, Alessandro Coassin, i quali hanno chiarito come le forze dell’ordine sono diventate più sensibili alla problematica, intervenendo con maggiore frequenza per quanto attiene le questioni collegate allo stalking da quando lo stesso è diventato un reato penale. Ad introdurre il tema Maria Concetta Noto, vice direttore dell’ufficio per la Pastorale della salute, che ha sottolineato come, con riferimento soprattutto al mobbing, il fenomeno sia molto sottile, non si riesce a definirlo nei contorni e, in particolare, nella sua fase iniziale. E questo finisce con il peggiorare il quadro complessivo della vittima che subisce stress psicologico e anche fisico. “Questa malattia – ha detto senza giri di parole Santi Benincasa, medico di medicina generale – può portare il soggetto, a parte l’ansia e il panico, verso l’atto estremo del suicidio. Ecco perché lanciamo un appello a chi ha ruoli di responsabilità nei luoghi di lavoro: prenda in considerazione il fenomeno e non lo sottovaluti, ritenendolo alla stregua di un problema che non può scrollarsi di dosso come se nulla fosse. Se il responsabile e il “mobber” coincidono, peggio ancora. Tra l’altro, dobbiamo considerare che il mobbizzato può reagire, trattandosi di un frustrato che potrebbe attuare azioni pericolose contro i colleghi, addirittura contro il “mobber” sino ad arrivare all’atto estremo dell’omicidio”. Benincasa si è poi soffermato sui malesseri che colpiscono chi è vittima di mobbing. “Parliamo, in pratica, di una serie di malattie – aggiunge – dall’ansia e dagli attacchi di panico si può arrivare allo stress cronico, con tachicardia, ipertensione, ulcere allo stomaco, diminuzione delle difese immunitarie”. Lo stalking è un’altra forma di disagio. Se nel mobbing, per dirsi tale, i condizionamenti e gli atti di pressione devono avere una durata frequente e andare avanti almeno sei mesi, nello stalking nulla di tutto questo. L’avvocato Tony Francone ha chiarito che con l’entrata in vigore della legge 612 sono emersi una serie di casi ed episodi che hanno fatto rilevare quanto il fenomeno fosse latente e avesse bisogno di uscire allo scoperto, fornendo gli strumenti alle forze dell’ordine e agli organi magistratuali per potere intervenire. In conclusione, il direttore dell’ufficio diocesano per la Pastorale della salute, don Giorgio Occhipinti, ha auspicato che possa essere rotto il muro di omertà attorno a questi fenomeni. “Ci vuole la massima comprensione e attenzione – ha chiarito – per sostenere chi è vittima di atteggiamenti mobbizzanti o fa i conti con lo stalking. Sono fenomeni gravi dell’attuale disagio esistenziale che al giorno d’oggi la gente si porta appresso. Tutto questo, è evidente, non migliora la qualità della vita ma anzi rende le persone più alienate, più decontestualizzate rispetto alla realtà che li circonda”.
Esiste, inoltre, un problema che è stato lungamente disatteso, la -violenza delle donne sugli uomini-, generato nella pervadente, fruttuosa, cultura del consumismo, di cui vive anche uno Stato. Il problema ha un pregresso (non dico da chi è stato individuato ed organizzato, perchè non faccio qui* “pedagogìa socio-culturale”) dalla convenzione del credere l’uomo sempre forte e la donna sempre debole. In base a questo assunto una donna subdolamente è creduta aver ragione anche quando ha torto, sempre: è una base culturale di cui molti uomini e donne burattìnati vivono senza saperlo -ma non sono assolti- perchè hanno già il valore della loro persona programmato dalla loro cultura (di consumo e immagini comportamentali indotte) che vuole creare solo lo pseudo”star bene”, estetico, in questo mondo fino alla giustizia che spero, solo per me, che non avrò dopo la mia morte. Comunque qui sono-siamo in uno strumento che è usato, anche, come gridare in un -mercato- di vaste folle con desideri mimetici*.(*=nota)
Conosco gli attori della questione e come interpretano senza responsabilità (mancanza di responso ma ribaltamento) e per questo che
preciso:
-io desidero avere giustizia, se non da vivo, da morto-
non dico altro e tutto il corpus di adeguamento di cui burattini e streghe si pregiano sarà gettato all’inferno. non se ne poteva più.
la negazione della ultima frase del post di giorno 27 aprile era non nel senso, ma ci sono streghe e i loro uomini burattini che vorrebbero leggere tendenziosamente, a questi vermi nella mia esistenza dico che sarete numerosi all’inferno, qui lo siete già stati e dopo la mia morte la giustizia non la cammufferete nel senso che avete prodotto qui. maledetti e maledette