E’ tutto sbagliato. E’ tutto da rifare
Lunedi pomeriggio a Vittoria Aiello ha chiamato a raccolta tutti coloro che parlano la stessa lingua. Quella del bisogno in agricoltura. La crisi sottolineata ad esempio da movimenti di protesta, quale quello dei “forconi” che parlavano di bisogni inderogabili e di istanze legittime deve essere affrontata in modo completo cercando di capire da dove nasce facendo crescere il malcontento e la frustrazione di estesi settori della società e in particolare delle classi popolari siciliane. Quella di questi anni è una crisi agricola gravissima che attraversa un sistema che non ha più prospettive di certezza per il suo futuro. In questi giorni ad esempio si mettono in discussione anche gli accordi fra UE ed i paesi dell’Africa rivierasca, ultimo fra i quali quello con il Marocco che liberalizza il commercio di prodotti agricoli e di pesca, colpendo duramente i produttori locali che non riescono a stare nel mercato e a reggere l’urto della concorrenza delle economie emergenti. L’accordo commerciale con il Marocco prevede l’aumento delle quote di scambio per una serie di prodotti tipici delle colture mediterranee, che potranno essere importati a tariffe doganali basse o pari a zero e rappresenta la prima tappa verso futuri accordi di libero scambio. E’ senza ombra di dubbio un accordo che colpisce duramente l’agricoltura siciliana in un contesto già particolarmente difficile dal punto di vista economico e sociale, che avrà un impatto pesante sulle imprese nel settore dell’ortofrutta, in particolare per le produzioni delle arance o dei pomodori. A Vittoria oggi si incomincia a comprendere quello che sta accadendo ma se non si mette insieme una protesta compatta si rischia di perdere l’obiettivo. Bisogna infatti combattere prima di tutto la concorrenza sleale dovuta all’introduzione sul mercato di prodotti a costi bassi, che non danno garanzie per gli standard di protezione ambientale, di condizioni di lavoro e fitosanitarie. Secondo Antonio Marotta, un esperto del settore del quale riportiamo questo articolo pubblicato su un sito palermitano, chi sostiene che tali accordi servono anche a sostenere la primavera dei popoli arabi occorre rispondere che i processi di profonda trasformazione dell’agricoltura dell’area del Maghreb sono in atto da tempo e sono il prodotto della delocalizzazione delle grandi imprese agricole del nord Europa che hanno cancellato e trasformato le produzioni autoctone di cereali, legumi e della pastorizia in estese coltivazioni ad agrumi, pomodoro e carciofi. In tale logica divengono competitive le imprese di quei territori che riescono a razionalizzare fattori decisivi quali la produzione agricola e la sua trasformazione, la commercializzazione e la distribuzione, fattori piegati alle ragioni del consumatore orientate attraverso politiche di marketing che ne determinano le strategie.
Diviene in tale quadro decisiva la funzione della grande distribuzione accresciutasi notevolmente ed in grado di determinare in maniera incisiva la produzione e di assumere un ruolo guida all’interno della filiera agroalimentare. Dal 2000 al 2010 in Italia gli insediamenti degli ipermercati crescono raddoppiando quasi il loro numero e con supermercati, superstore e hard discount costituiscono circa il 72% dell’intera distribuzione, mentre crolla di 1/3 la presenza dei negozi tradizionali. In Sicilia tale processo di trasformazione del settore della distribuzione va allineandosi con il dato nazionale. Nel complesso la filiera agroalimentare con 28,5 miliardi di euro (dato 2008) rappresenta circa il 7% dell’export nazionale, dove incide maggiormente la trasformazione dei prodotti. Il saldo della bilancia commerciale per l’agroalimentare è, tuttavia, nel complesso negativo per -8,7 miliardi di euro, il deficit di produzione agricola incide, infatti, per circa 5,4 miliardi di euro ed è dovuto alle esigenze dell’industria alimentare che importa dall’estero rilevanti quantitativi di prodotti, tra cui per esempio il grano e l’olio d’oliva.
Ed è in tale contesto che tenta di insinuarsi l’attività illegale che tende a speculare illecitamente traendo ingenti profitti. Tempo addietro c’è stato il blitz della Guardia di finanza presso il mercato ortofrutticolo di Vittoria, dove sono emerse gravi irregolarità come la doppia attività dei commissionari che svolgevano il doppio ruolo di intermediari e compratori potendo così abbassare artificiosamente i prezzi da pagare ai produttori. Si scoprivano, inoltre, 27 tonnellate di ortaggi (pomodorino, carciofi) importati dalla Tunisia e commercializzati come prodotti siciliani. La CIA stima in 300 milioni di euro le somme sottratte ai produttori con il gioco al ribasso dei prezzi.
La grande distribuzione richiede, quindi, prodotti a basso costo che si reperiscono importandoli da quei paesi dove il costo del lavoro e la subordinazione alle grandi multinazionali della produzione agricola abbassa notevolmente il costo unitario del prodotto ma anche dal mercato locale condizionato implacabilmente dalla concorrenza sleale dei prodotti esteri che depaupera il valore del prodotto locale abbattendo drasticamente il suo prezzo. In Italia la ripartizione interna alla filiera agroalimentare, per ogni 100 euro spesi per l’alimentazione, destina all’agricoltura circa 15 euro onnicomprensivi dei costi interni del lavoro, del capitale e dei finanziamenti, detratti i quali rimane un magro utile di impresa sostenuto sostanzialmente con i contributi della PAC. E’ questa la condizione dettata dalle grandi imprese distributive con cui anche l’agricoltura siciliana è chiamata a fare i conti. Oggi l’agricoltura siciliana produce per i mercati nazionale ed internazionale circa il 70% del valore complessivo ( circa 3.300 milioni di euro) pari al 53% della produzione e per il restante 30% e 47% al mercato regionale o locale.
Un ulteriore elemento di deficit è sicuramente rappresentato dall’incapacità di incidere in maniera virtuosa, ma facendo registrare enormi ritardi nella realizzazione dei progetti d’investimento, previsti almeno dal 2000 ad oggi, delle misure POR, dai PIT, dai Patti Territoriali, dai Contratti di Programma, dagli APQ. La programmazione negoziata , intervento coordinato dal basso di incentivazione alle imprese, fa registrare in Sicilia il suo totale fallimento. E’ l’inefficienza nel sistema del sostegno allo sviluppo e non la carenza di risorse finanziarie che determina l’incapacità di intervento nel settore, addirittura non si riesce a spendere nei tempi tecnici necessari neppure quelle risorse disponibili.
Dopo aver sprecato otto miliardi di euro nel periodo 2000-2008 in spesa clientelare non produttiva, il grado di realizzazione di programmi comunitari inerenti ai fondi strutturali Fers (fondo europeo di sviluppo regionale) e Fse (fondo sociale europeo) da parte della Regione Siciliana per il periodo 2007/2013 è contrassegnato da gravissimi ritardi, espressione di una politica di gestione del Governo Lombardo carente, frammentata e non sufficientemente sorretta da un disegno organico. Solo il 12 per cento delle somme assegnate alla Sicilia sono state spese e sino all’inizio del 2012 risultano assegnati solo 762 milioni a fronte di una somma di circa sette miliardi di euro tra fondi comunitari del FESR e cofinanziamenti nazionali e regionali.
Su tale condizione già gravemente deficitaria si abbattono, inoltre, i recenti provvedimenti del governo tecnico Monti che innalzano il livello di tassazione ed i costi di gestione delle piccole aziende. Misure come l’introduzione dell’IMU sui fabbricati rurali, la rivalutazione degli estimi catastali dei terreni agricoli, l’aumento dell’IVA, l’aumento del costo dei carburanti per l’agricoltura, colpiscono duramente le economie precarie degli agricoltori dando un colpo mortale alla loro lotta quotidiana per la sopravvivenza. Ed è in questa situazione di profonda crisi del settore e di provvedimenti capestro che si sviluppa la recente protesta popolare di contadini poveri, braccianti, pescatori e piccoli trasportatori, cosiddetta dei “forconi” che esprime la condizione, ormai al limite, della loro situazione economica e del tentativo di resistere alle politiche di rapina dei grandi potentati economici. Una lotta che pur articolandosi con parole d’ordine e piattaforme di carattere corporativo, e con modalità non sempre condivisibili, esprime, a partire dai bisogni reali di quelle categorie sociali, una opposizione dal basso alle politiche recessive ed antipopolari del governo Monti e allo sperpero di risorse operato dal governo regionale Lombardo.
C’è l’esigenza di liberare queste lotte da una caratterizzazione prevalentemente categoriale facilmente strumentalizzabile dalle stesse forze politiche di centrodestra che sono causa del deficit in cui versa la Sicilia, facendole divenire parte di un più vasto schieramento per la difesa del lavoro, dell’occupazione e dei diritti e di una più ampia piattaforma di lotta che delinei un progetto di alternativa per l’isola. Occorre aprire all’interno di una vertenza regionale più complessiva, costruendolo a partire dalle lotte, un capitolo specifico per l’agricoltura su cui costruire una grande mobilitazione. Misure immediate per eliminare i recenti provvedimenti del governo Monti quali la diminuzione del costo del carburante, la riduzione dell’IVA sui mezzi agricoli, l’eliminazione della nuova IMU, devono essere intraprese per arginare immediatamente la crisi del settore . Provvedimenti, che controllino le speculazioni a danno dei produttori che avvengono nella filiera e nella distribuzione, come l’introduzione del doppio prezzo all’origine ed al consumo come deterrente all’aumento della forbice fra i prezzi riconosciuti agli agricoltori e praticate nei mercati, sono inoltre urgenti. La redazione di un piano straordinario per l’agricoltura e la pesca in Sicilia, condiviso e partecipato, diviene una esigenza fondamentale per costruire un quadro organico finalizzato alla ripresa del settore. E’ necessaria la rimodulazione del Piano di sviluppo rurale 2007/2013 (PSR), coinvolgendo gli operatori, per adattarlo all’attuale fase di crisi. Non è più rinviabile un controllo dal basso, direttamente dei soggetti interessati, dei fondi strutturali per determinarne le finalità e gli obiettivi da raggiungere e per sbloccarne effettivamente la spesa che non deve più assumere carattere assistenziale ma divenire produttiva e finalizzata a progetti per lo sviluppo e l’innovazione. Occorre affrontare l’annosa questione del sistema creditizio nell’isola per attivare, con un capitolo specifico del bilancio regionale, gli aiuti a fondo perduto e le garanzie per dare la possibilità di accesso al credito alle piccole imprese. Nelle more della costituzione del fondo necessitano provvedimenti volti alla ristrutturazione della situazione debitoria delle aziende per evitare la loro liquidazione.
Provvedimenti specifici per sostenere favorire ed incentivare il rafforzamento di strutture associative della microimpresa agricola ( cooperative agricole) per una maggiore valorizzazione del prodotto , ma anche per attivare processi di innovazione per elevarne la sua qualità, unitamente a valide strategie di promozione e marketing, riequilibrando i rapporti di forza interni alla filiera. Strutture che sappiano contrastare l’attuale egemonia della grande impresa capitalistica e della grande distribuzione. Sostegno delle produzioni agroalimentari autoctone di qualità e del settore biologico rientranti in un paniere di prodotti realizzati secondo specifici disciplinari ed introduzione di un marchio di certificazione unico Sicilia. Creazione e potenziamento di infrastrutture finalizzate all’esportazione delle derrate agricole privilegiando il trasporto ferroviario e su nave. Ridisegno complessivo delle funzioni e degli obiettivi dei consorzi di bonifica finalizzato al controllo ed al ribasso del costo della risorsa idrica per uso irriguo. Incentivazione della produzione di fonti di energie rinnovabili, come il fotovoltaico, purché non sostitutive di produzioni agricole e non realizzate su terreni coltivabili.
Occorre riaprire, su tali basi, un fronte di lotta che sappia legare le giuste rivendicazioni delle campagne, mettendo insieme mondo bracciantile, lavoratori extracomunitari e piccoli produttori, ad un progetto di sviluppo dell’isola più complessivo che sappia respingere i tentativi di dominio della grande impresa agricola capitalistica. Diviene, inoltre, centrale, sconfiggere le politiche che tendono a subordinare il lavoro delle campagne e modificare le tipologie agroalimentari e le colture autoctone agli interessi di mercato della grande distribuzione. Ridare centralità alla piccola azienda strutturata in forme che le consentano di cooperare per divenire innovativa e competitiva, è una battaglia giusta per restituire al settore primario siciliano l’opportunità non solo di difendere l’occupazione ed i diritti ma anche di costruire nuove opportunità di lavoro che rivestano carattere di utilità sociale.