Verde pubblico. Legambiente: “La mancanza di una strategia è controproducente”

“Ciò che è netto e chiaro rassicura. Tutto il resto è popolato da elfi malefici”. (Gilles Clément). Partendo da questa semplice e fantasiosa citazione del famoso paesaggista francese è possibile spiegare la gestione locale del verde cittadino e delle intempestive scelte di intervento.

Infatti ogni primavera, proprio quando l’abbondanza di fiori spontanei e insetti colora e rallegra le bordure stradali, le rotatorie e tutti gli spazi verdi “dimenticati”, esaltandone le potenzialità estetiche e aumentandone il potenziale ecologico, queste vengono puntualmente sfalciate dal tagliaerba di turno, che così facendo riporta l’”ordine” e la “pulizia”.

Questo gesto comporta più conseguenze di quanto si possa immaginare. Sopprimere i fiori non significa solo togliere “sporcizia”, significa anche sopprimere i frutti, dunque i semi. Ora, è proprio nei semi che si trova l’essenza del messaggio biologico della connessione.

Questo modus operandi deriva da una cultura globale antropocentrica che vede assimilare le aree dismesse o quelle semplicemente incolte ad un paesaggio in pericolo. Ciò equivale a denunciare la riconquista di suolo da parte della natura come un degrado, quando è esattamente il contrario. Infatti queste superfici abbandonate o nelle quali l’intervento antropico è minimo, definite appunto Terzo Paesaggio, funzionano frequentemente da elementi di raccordo con il paesaggio. La presenza di aree con caratteristiche di naturalità costituisce, infatti, non solo un collegamento tra città e territorio circostante, favorendo la formazione dei cosiddetti “corridoi ecologici”, ma anche un modo sostenibile di progettare e gestire il verde cittadino, sempre più alla ricerca di schemi caratterizzati da minori costi di manutenzione.

Ecco perché ruolo fondamentale che devono avere gli spazi verdi urbani è quello della “connettività”, di stabilire quei corridoi ecologici fra ‘tessere’ separate del ‘mosaico’ urbano e che rischiano di ridursi ad “isole” non connesse.

Questo tipo di vegetazione ha, inoltre, una forte componente educativa sull’immaginario comune: la vista di un prato fiorito e di fiori di campo rimanda alla campagna e all’infanzia e crea stimoli di aggregazione. I bambini sono affascinati dalla presenza degli insetti impollinatori e delle farfalle attratte dai fiori. Già in molti Paesi, infatti, il valore didattico di questa vegetazione è ampiamente evidenziato e sfruttato per lezioni in campo e gite scolastiche.

Si tratta quindi di un problema ampio sul quale è necessario un cambiamento radicale: non può essere affrontato semplicisticamente con la falciatrice, ma deve essere analizzato in chiave olistica, comprendendo tutte le tipologie di verde: da quelle naturali a quelle antropiche (gli spazi agricoli, i parchi e i giardini). Questi ultimi devono essere progettati e gestiti con approcci nuovi che valutino, oltre le scelte biologiche al loro interno, in grado di incrementare la presenza di specie autoctone, la fattiva possibilità di entrare in connessione con gli spazi extraurbani.

 

 

di Redazione23 Giu 2014 19:06
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