Non so che mondo è: terzo o anche quarto!
Per completezza dell’informazione senza fare alcun commento pubblichiamo due passi presi da altrettanto giornali on line a livello regionale. Il primo fa riferimento ad una dichiarazione di Vito Riggio ex presidente dell’Enac che a Live Sicilia ha dichiarato che “vista l’emergenza negli aeroporti per lo sviluppo occorre fermare il clientelismo”
E’ quello che abbiamo detto noi più volte. In questi organismi dove chi dirige viene scelto non per meriti ma per appartenenza o per scambi politici è chiaro che ci sia molta clientela sia negli incarichi che nelle consulenze. L’altro giornale è Catania Today dal quale prendiamo il racconto di una lettrice che ha trascorso un terribile pomeriggi a Fontanarossa. Eccolo
“All’urlo ‘Bolognaaaaa’ ci ammassiamo tutti spintonando gli altri verso l’ingresso del terminal, e siamo finalmente dentro. Dentro, c’è ancora più casino che fuori. Nessun bagno e se ti scappa devi riuscire, rischiare la vita entrando nei bagni chimici al sole” Domenica 30 Luglio, alle 16,35, avevo il volo di rientro da Catania a Bologna con Wizz Air. Nella settimana che ho passato in Sicilia ho sentito circolare le storie più varie, gente abbandonata negli aeroporti di Comiso, Trapani, Palermo o addirittura Lamezia, navette casuali o inesistenti, trasferimenti in taxi da Palermo a Catania pagati 500 euro perché non c’era altra scelta, eccetera. Tutto questo con temperature sopra i 40 gradi, e in una regione devastata da fuoco, black out e mancanza d’acqua. Emergenza, dunque. Consapevole di tutto questo e dei disagi dovuti all’incendio del 17 luglio scorso, ho deciso di andare in aeroporto un po’ in anticipo pur non avendo ricevuto alcuna comunicazione di spostamenti o ritardi, per cui alle 15 circa ero lì, con un libro, pronta a tutto. Pensavo di esserlo, almeno. Perché 13 giorni dopo l’incendio, tredici non tre, visualizzo la seguente scena: di fronte al Terminal C ci sono due piccoli gazebo della protezione civile dove vengono distribuite bottigliette d’acqua, un paio di operatori Sac e personale di terra dell’aeroporto, visibilmente sfiniti ma molto gentili, presi d’assalto da mille domande alle quali non sanno naturalmente rispondere; di fianco, una tensostruttura gremita di gente con dentro un tabellone che riporta i voli della giornata, la metà dei quali cancellata, quasi tutti gli altri ritardati o dirottati altrove; nello spazio antistante al terminal, rannicchiati sotto l’ombra dei pochi alberi e cactus o addossati alle transenne, o in piedi sotto il sole, diverse centinaia di persone.
Quattro o cinque bagni chimici schierati fieramente al sole, semi liquefatti. Mi sono avvicinata a una operatrice Sac per chiedere informazioni, e mi è stato consigliato – sempre gentilmente, voglio ripeterlo – di non allontanarmi troppo dall’ingresso del terminal perché i passeggeri dei voli in partenza sarebbero stati via via chiamati per entrare, e passare i controlli di sicurezza. Quando scrivo ‘chiamati’ intendo proprio chiamati: ad alta voce, i più fortunati utilizzando un megafono come quelli dei cortei di quando si andava in manifestazione ma gli altri senza, si sgolavano urlando Firenzeeee! Copenhagennnn! Foooggia!! La gentile operatrice della Sac mi suggerisce per questo motivo di non allontanarmi troppo, perché altrimenti non avrei sentito. Mi addosso ad una pianta assieme ad altri viaggiatori, mi siedo su un masso e aspetto. Saltuariamente sento scoppi di urla, fra la rabbia e il panico, quando a qualcuno veniva comunicato via sms che il suo volo sarebbe partito due ore dopo, ma da Trapani (4 ore in auto, se ce l’hai. In treno non credo neanche sia possibile) o da Comiso. Nessun info point, nessuna traccia di navette, nessun annuncio. Mentre aspetto, trasudo gratitudine mista al sudore provando a immaginare cosa poteva essere stato quel posto la settimana prima, quella dei 47 gradi al sole, e ‘solo’ 8 giorni dopo l’incendio invece che 13. Ricevevo messaggi dalla compagnia aerea che mi aggiornava prontamente dell’aumento del ritardo del mio volo, prima alle 18, poi alle 18,40, precisando però che avrei comunque dovuto recarmi in aeroporto all’ora prefissata perché il check in avrebbe aperto e chiuso regolarmente. So che è una procedura normale, anche se non ho mai capito il perché di una comunicazione del genere, ma in una situazione come quella appena descritta, che ricorda vagamente (con tutte le cautele del caso) l’assedio dell’aeroporto di Kabul nei giorni della fuga degli americani nell’Agosto 2021, sorge spontanea la prima domanda: non sarebbe stato più sensato permettere ai viaggiatori di arrivare due ore dopo, se il loro volo era già stato ritardato con certezza, invece di costringerli ad ammassarsi in uno spiazzo assolato assieme a tutti quelli che via via sopraggiungevano? La faccio, questa domanda, e mi viene risposto ancora una volta molto gentilmente che ‘questa è un’emergenza’. Un’emergenza poteva esserlo dopo 3 giorni, non dopo 13, penso io, ma ringrazio e vado a cercare un bar perché nel frattempo devo fare pipì e soprattutto mi si sta scaricando il telefono, che contiene la mia carta d’imbarco. Non ci sono stazioni di ricarica, sono 4 prese al bar nella rotonda di fronte al terminal dove naturalmente decine di persone attendono in fila di poter attaccare i loro vari device. Ci rinuncio, attivo la modalità risparmio batteria e tronco le comunicazioni con tutti quelli che mi chiedono che fine farò, perché come nella foresta devo risparmiare la carica. Quando mancano circa 50 minuti alla presunta partenza, mi avvicino alle transenne che delimitano quello che definirò il primo step di questo Squid game in salsa catanese.
Livello uno: all’urlo ‘Bolognaaaaa!!!’ ci ammassiamo tutti spintonando gli altri verso l’ingresso del terminal, e siamo finalmente dentro! Dentro, c’è ancora più casino che fuori, nessun bagno (se ti scappa devi riuscire, rischiare la vita entrando dentro i bagni chimici al sole, per poi ripetere il livello uno. A questo punto, ammesso che tu abbia solo un bagaglio a mano com’era il mio caso, invece di sottoporti all’ennesima fila per depositare la valigia basta trovare un angoletto dove crollare aspettando la seconda chiamata, sempre a voce (o col megafono), confusa fra i pianti dei bambini, le telefonate della gente, le chiacchiere.
La seconda domanda che sorge spontanea, mentre controllo preoccupata il livello della batteria al 21%: ma perché invece di sgolarsi non usano il sistema di amplificazione che – nel frattempo – continua a funzionare regolarmente diffondendo con voce flautata annunci che invitano a non lasciare i propri bagagli incustoditi? Non ho avuto il coraggio di chiederlo, questo, anche perché rischiavo di perdere la posizione privilegiata che mi ero conquistata, seduta su un carrello abbandonato ricolmo di bottiglie di plastica vuote, accanto ai bidoni dei rifiuti ma al riparo dalla folla.
Livello 2: quando finalmente risuona l’urlo ormai rauco Bolooognaaaa!!! esultiamo e ci accalchiamo verso i portali coi metal detector (due), oltre i quali ci si ritrova in una specie di girone dantesco in miniatura. Livello tre: ormai sdraiati sul pavimento lercio fra le infinite centinaia di bottiglie di plastica (in Sicilia questa cosa che la plastica rovina il pianeta proprio non attacca), aspettiamo che altri operatori sfiniti e afoni ci segnalino qual è il nostro gate. Questo, in sintesi, è quello che ho visto nelle 4 ore che ho passato all’aeroporto di Catania. Non posso neanche definirla mala gestione, perché si vedeva chiaramente che non c’era alcuna gestione: nessun piano, nessuna idea, nessuna considerazione per il personale al lavoro o i viaggiatori. Una cosa mi ha colpito, più di ogni altra: una volta passate le transenne ed entrati nel terminal, diverse decine di persone uscivano a fumare nello spazio minuscolo fra le transenne e le porte scorrevoli, accanto ai poliziotti.
Un addetto alle pulizie, con scopa e paletta, ha continuato a spazzare le innumerevoli cicche che tutti compresa me eravamo costretti a buttare sul pavimento, davanti a quest’uomo che continuava a ripulire ai nostri piedi, perché a “Nessuno” era venuto in mente di mettere un portacenere lì. Così come a” Nessuno” è venuto in mente di procurarsi delle panche e dei teli ombreggianti per permettere alle persone di sopravvivere sotto il sole di Luglio, fuori per ore. Così come sempre allo stesso “Nessuno” non è venuto in mente di usare, che so, un monitor da montare all’esterno su una piantana dove scrivere in grande (power point lo fa abbastanza facilmente, ma basta anche un semplice word) Firenze, Foggia, Copenhagen o di montare due semplici casse acustiche dalle quali diffondere gli annunci, invece di costringere i propri dipendenti ad urlare e le persone a non potersi neanche allontanare per cercare un filo d’ombra o bere un caffè.
Medioevo, perché nel cosidetto terzo mondo gli aeroporti sono forse più organizzati.
Gli aeroporti siciliani devono essere privatizzati e conquistarsi le loro fette di mercato per capacita e merito.
I politici e amministratori siciliani non hanno capito che facciamo parte dell’Europa e qualsiasi regione concorrente vedi quelle spagnole, portoghesi o isole greche per non parlare del nord Europa offrono servizi e confort imparagonabili, non regge più la buona cucina, la storia, il mare chi viene la prima volta dopo esperienze simili non torna più, per cui o ci mettiamo al passo oppure saremo sempre una regione sottosviluppata che con le potezialità che ha costringe i cittadini ad emigrare e i turisti a scappare.