Calvanese (FdI): “Liste e movimenti civici? Strumenti del più becero trasformismo”
In merito alle dichiarazioni del sindaco di Ragusa Peppe Cassì riguardo l’intenzione di proseguire nel proprio progetto politico sostenuto solamente da movimenti civici, rifiutando (almeno per ora) il sostegno dei partiti tradizionali – posizione che ha portato Fratelli d’Italia a lasciare la coalizione – vi proponiamo l’opinione dell’avv. Umberto Calvanese, componente il direttivo del coordinamento cittadino di Fratelli d’Italia, che sul proprio profilo Facebook ha pubblicato delle riflessioni appunto sulla nascita di movimenti civici o, per meglio dire, sulle ragioni che spingono gli attori politici di una comunità a candidarsi in liste civiche create ad hoc anziché sotto le insegne di partiti o movimenti preesistenti:
Con la dovuta eccezione dei movimenti civici veri, che svolgono attività politica da anni sul territorio e che hanno una loro precisa individualità, la maggior parte degli altri guarda caso nasce e muore nella specifica contingenza di un’elezione amministrativa. Detto questo, mi pare chiaro che il cosiddetto civismo di cui tanto ci si riempie la bocca non abbia (in gran parte) niente a che vedere con “il bene della città”, “concentrarsi sulle cose da fare anziché sulle ideologie”, “attingere da sensibilità politiche differenti”, e altri ritornelli che ascoltiamo ormai da anni. Al contrario: a mio modo di vedere il “civismo” è solo un modo più elegante per raggirare gli elettori.
Raggirarli perché, dietro la maschera di un simbolo anonimo, privo di storia, d’identità, sostanzialmente usa e getta, si vuole nella maggior parte dei casi nascondere (e riciclare) la presenza di personaggi provenienti dall’una o dall’altra area politica, spesso attivi da decenni e in cerca solo di un simbolico Leté che li mondi da ciò che hanno fatto in passato e per cui (giustamente o ingiustamente) la cittadinanza non vorrebbe più vederli circolare.
Raggirarli perché, dietro la scusa del civismo, personaggi che gravitavano attorno al centrosinistra possono permettersi di candidarsi al fianco di “colleghi” di centrodestra e viceversa, in un discutibile pastone in cui a prevalere non è un progetto ma il solo scopo di mettere (o mantenere) le mani sulle leve del potere.
Raggirarli perché spesso una lista civica non fa altro che candidare personaggi appartenenti ad un medesimo partito politico che, invece di presentarsi col suo simbolo, si nasconde dietro un bel logo, fittizio ed innocuo, che non provoca orticarie a nessuno e che facilita ogni genere di inciucio.
Perché, in fin dei conti, il civismo è solo un’espressione (e lo strumento) del più becero trasformismo da cui l’Italia è da sempre afflitta.Anche e soprattutto in tempi di antipolitica presentarsi sotto una specifica bandiera partitica è un atto di coraggio e di trasparenza. Significa dire chiaro alla gente chi si è, da dove si viene e dove si vuole andare. Certo, l’affermazione forte di un’identità e di un’appartenenza comunitaria può portare meno voti, ma lo scopo principale di chi fa politica per passione dovrebbe essere quello di testimoniare (e ove possibile realizzare) idee, non di gestire il potere.
Così com’è una panzana gigantesca sostenere che per amministrare una città non servano le ideologie. La fede politica, nel senso più nobile del termine, è una visione del mondo omnicomprensiva, dal generale al particolare, dalla Nazione alla frazione comunale e, quando è genuinamente sentita, informa l’essere stesso di chi la propugna, persino nella propria vita e nelle proprie azioni private. E’ la fede politica che determina la scelta delle priorità di un’amministrazione; tanto per fare alcuni esempi: su dove investire le risorse limitate di cui un ente dispone, se favorire il lavoro o il capitale, se propendere più per l’ordine o per la libertà, se investire in un progetto di riqualificazione urbana che privilegi i ceti più poveri o che potenzi il commercio o che agevoli la formazione di nuove famiglie. A me sembrano tutte questioni che un amministratore, anche comunale, deve necessariamente affrontare nel corso del suo mandato: sostenere che non sia necessario risolverle in base ad una precisa idea politica significa, in parole povere, dire che non si ha – e non si vuole avere – un vero progetto di lungo termine.