Trivelle: Si o No? Facciamo il punto sul referendum
17 aprile. Si avvicina sempre di più la data del referendum sulle trivelle: ormai siamo veramente agli sgoccioli, e proprio nei prossimi giorni assisteremo al fuoco incrociato fra le due fazioni di una guerra ideologica, che rischia di compromettere il giudizio degli “indecisi”; le polemiche (che pure non sono mancate all’approssimarsi del referendum 2016), sono infatti destinate ad intensificarsi. In un labirinto di proclami e dichiarazioni, proprie di esponenti di spicco dell’una o dell’altra parte, si moltiplicano le richieste d’informazioni in merito all’imminente 17 aprile. Su che cosa siamo chiamati a scegliere, e quali sono le ragioni degli schieramenti?
Il referendum del 17 aprile è stato voluto da alcune Regioni italiane (in particolare: Basilicata, Campania, Calabria, Liguria, Marche, Sardegna, Molise, Veneto e Puglia); le ragioni che hanno portato queste regioni a chiedere il referendum vanno dalle preoccupazioni in ambito ambientale a quelle sulle eventuali ripercussioni sull’economia turistica delle sopracitate regioni. Il dibattito riguarda solo 21 concessioni (di queste, sono ben sette quelle che riguardano gli stabilimenti antistanti le coste siciliane). Ciò che noi dobbiamo tenere a mente recandoci alle urne, è che il referendum rappresenta un altro importante step nell’evoluzione del rapporto tra società e produzione energetica: questa sarebbe di per sé una buona ragione per sentirsi personalmente chiamati in causa, indipendentemente dalla nostra preferenza in merito all’argomento.
Trivelle, su cosa decideremo?
Il nodo cruciale riguarda l’abrogazione della norma che consentirebbe alle società petrolifere di ottenere ulteriori proroghe sulle concessioni per l’estrazione di gas e petrolio, fino ad esaurimento dei giacimenti presenti entro le dodici miglia nautiche dalle coste italiane (poco più di 22 chilometri). Tuttavia, sarà giusto precisare che non stiamo parlando di autorizzare nuove trivelle, poiché la costruzione di nuovi stabilimenti è già di per sé vietata: chi voterà SI, quindi, esprimerà voto favorevole all’abrogazione del comma 17 del decreto legislativo 152 (“attività di ricerca, di prospezione nonché di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi”), obbligando così le trivelle a fermare le loro attività, entro il limite delle dodici miglia; al contrario, chi voterà NO, vorrà consentire alle società petrolifere di continuare l’attività d’estrazione degli stabilimenti (già esistenti) fino ad esaurimento dei bacini.
Qui di seguito, il quesito che ci verrà proposto:
[tabs][tab title =”Referendum 17 aprile”]«Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile2006, n. 152, “Norme in materia ambientale”, come sostituito dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di Stabilità 2016)”, limitatamente alle seguenti parole: “per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale”?».[/tab][/tabs]
Si ricordi che, nel caso dovessero prevalere i “si”, il parlamento dello Stato italiano sarà obbligato a ratificare ufficialmente la scelta di fermare le trivelle, così come previsto dal meccanismo referendario: di fatti, allorché venisse modificato o ignorato il risultato di un referendum, ci troveremmo di fronte ad un grave caso di lesa volontà popolare.
Tuttavia, affinché il risultato elettorale possa essere considerato valido, il quorum da raggiungere dovrà essere quello del 50% degli elettori più uno. Per cui, se ci trovassimo di fronte all’ennesimo caso di astensionismo di massa, nessuno dei due schieramenti potrebbe realmente sentirsi libero di celebrare la vittoria (qualsiasi dovesse essere l’esito finale del referendum).
C’è chi dice NO…
La preoccupazione principale dei denigratori del “si” va sicuramente nella direzione di chi non vorrebbe che si cessasse di utilizzare una fonte energetica attualmente in uso (con i conseguenti costi che ne deriverebbero, per la cessazione dei lavori e lo smaltimento degli impianti già esistenti). Uno dei principali cavalli di battaglia dello schieramento favorevole al “no” consiste nel rischio della perdita di innumerevoli posti di lavoro a seguito dell’eventuale abrogazione sulla norma che permetterebbe di prorogare lo sfruttamento dei giacimenti; tuttavia, su questo tema vige ancora un aspro dibattito. L’obiezione in questo caso riguarda principalmente i tempi di cessazione delle attività di estrazione: infatti, la chiusura degli impianti non avverrebbe immediatamente, ma in maniera graduale durante un arco di tempo più o meno lungo (si parla di un periodo che va dai 5 ai 10 anni), che secondo i fautori del “si” sarebbe un tempo più che sufficiente ad una riconversione, o ad un dislocamento in altre aree, dei posti di lavoro offerti dalle piattaforme petrolifere.
In questo schieramento troviamo, com’è giusto che sia, i rappresentanti dell’industria e delle società petrolifere, che semplicemente non possono far fermare le trivelle; in ambito politico e a livello nazionale, la situazione è molto più complessa: questa fazione vede il coinvolgimento di partiti minori, come il Movimento per le Autonomie ed il Megafono di Crocetta. Tuttavia, vale la pena fare una considerazione sulla scelta della direzione del Pd: infatti, se molti degli elettori della base del partito di maggioranza si aspettavano l’assoluta adesione allo schieramento del “si”, questi si saranno sentiti quantomeno spiazzati (per non dire traditi) dalla scelta del Pd nazionale di astenersi dall’esprimere una preferenza. Va da sé che le dichiarazioni a sostegno di questa astensione potrebbero essere facilmente passibili di ben altre interpretazioni, in quanto ricordano inequivocabilmente le ragioni dei pro “no”.
C’è chi dice SI…
Nel mondo degli ambientalisti più convinti e di coloro che si spendono affinché si cominci ad investire in massa sulle risorse energetiche rinnovabili, il referendum del 17 aprile viene visto come naturale prosecuzione di un percorso che vuole l’eliminazione totale degli stabilimenti petroliferi. Da questo punto di vista, la propaganda contro le trivelle è più che motivata. Tuttavia, merita un approfondimento la strategia comunicativa scelta da una parte dei favorevoli al “si”: infatti, negli ultimi giorni, sui social è stato possibile riscontrare una certa intolleranza degli utenti nei confronti di alcuni articoli, per così dire, estremizzati. In alcuni commenti a questi articoli, è possibile trovare l’espressione “fanatismo ambientalista”, che designa una parte di interventi considerati, eufemisticamente, fin troppo esagerati. La mancanza di informazioni dettagliate e puntuali riguardanti gli argomenti del referendum (in particolare) e la necessità di investire sulle rinnovabili (più in generale), rischiano di svuotare di significato una battaglia per l’ambiente che altrimenti potrebbe sembrare giusta sotto ogni punto di vista. Un altro clamoroso autogol dal punto di vista mediatico, è stato talvolta quello di affidarsi a pubblicità e slogan poco sensibili ad altre tematiche: per fare un esempio, è stata tremenda e discutibile la scelta dell’ormai famoso “trivella tua sorella”, che ha scatenato una feroce polemica sul sessismo.
Per quanto riguarda i numeri che ci portano a questo referendum, a fornire un aiuto potrebbe essere Legambiente; secondo l’associazione ambientalista, l’apporto energetico fornito dalle piattaforme prese in esame dal referendum, sarebbe minimo: una copertura di meno dell’1% del fabbisogno nazionale di petrolio, che sale appena al 3% nel caso dell’estrazione del gas.
Il popolo del “si” gode di numerose adesioni da ogni parte della politica, del mondo delle associazioni e della società civile; immancabile l’appoggio delle maggiori associazioni ambientaliste, tra cui Greenpeace e Legambiente. Dal punto di vista politico, si è venuta a creare invece una fazione quanto meno singolare, che vede schierati dalla parte del “si” partiti normalmente incompatibili fra loro (si va da Sinistra Italiana al Movimento 5 Stelle, senza dimenticare la Lega Nord): in questo contesto, e tenendo ben presente che lo schieramento di determinate forze politiche contro le trivelle potrebbe essere letto solo in funzione populistica (dettata dal fine di incrementare la propria base elettorale in vista delle amministrative di maggio), sarà bene considerare che non tutte queste forze convergeranno verso il “si” con le medesime finalità.
Quali che siano le ragioni che ci porteranno a decidere il futuro delle trivelle presenti nei nostri mari, solo una cosa appare certa: non si può rischiare di mancare l’appuntamento con una delle problematiche più importanti del nostro presente. Il vero pericolo, come sempre, risiede quindi nel rischio che l’astensionismo permetta ad altre persone di prendere delle decisioni che spetterebbero solo a noi.