Report Caritas sulle povertà 2014. Non c’è aiuto senza presa in carico

Sono 7.992 le persone aiutate nel 2014 dai 53 Centri di aiuto delle 98 parrocchie della diocesi di Noto. Con un impegno economico, solo attraverso questi canali, di 98.000 euro, soprattutto attraverso buoni spesa, pagamento di bollette e di affitti, voucher lavorativi, sostegno per spese mediche e accompagnamento sociale. Vanno aggiunti i generi alimentari che periodicamente le parrocchie raccolgono e distribuiscono ed altro che accade silenziosamente. Sono i primi dati del report sulle povertà 2014 della Caritas diocesana di Noto. Una goccia nel mare, questi aiuti, che però lo cambiano un poco, esprimendo comunque un tentativo di non lasciare soli, di dare una mano. E, poi, oltre i numeri, altri due dati qualitativi emergono: la povertà interessa le famiglie in genere per mancanza di lavoro o per reddito insufficiente, ma ricade subito sui bambini e sugli anziani. I primi, infatti, stanno crescendo avvertendo le tensioni della crisi economica: certo questo non si avverte subito, ma avrà serie conseguenze sulla crescita. Anche i ragazzi e i giovani si accorgono a scuola che non tutti sono eguali, perché non tutti possono permettersi di partecipare alle attività proposte quando (come accade sempre di più) sono a pagamento. E se gli anziani sono utili per le famiglie, tanto da costituire veri e propri “integratori sociali”, sono sempre più poveri di diritti e di affetto. Lo sguardo si fa più attento se si passa ai percorsi che si avviano con i Centri di ascolto, presenti in ogni vicariato della diocesi. Infatti, se i Centri di aiuto sostengono nell’immediato e raggiungono le persone in difficoltà anche con le visite domiciliari, i Centri di ascolto cercano di capire le situazioni più complesse e di avviare un lavoro in rete, anche con i servizi sociali e sanitari, teso alla promozione umana e all’inclusione sociale. Dai 140 tentativi di progettazione appare chiaro che le povertà si evolvono soltanto se c’è una lettura attenta e se si tenta con coraggio una presa in carico. Peraltro, dietro singole povertà, emergono problemi più ampi come la fragilità crescente delle reti familiari, un disagio giovanile che potrà diventare anche piccola delinquenza nelle situazioni più problematiche, disagi lievi non riconosciuti che diventano marginalità sociale, le difficili integrazioni con le potenziali “derive” (immigrati ma pure gli ex detenuti). Anche i dati della pronta accoglienza (venticinque a Modica nel 2014) vanno in questa direzione. La rete di case per la pronta accoglienza denominata “Portico di Betsaida”, attivata nell’ottobre 2012, dimostra come sia possibile dare un tetto a persone in difficoltà senza che si approprino dell’abitazione. Occorre però per questo accompagnare, e sorge il problema del “dopo” la pronta accoglienza, di poter trovare case in affitto a prezzi sostenibili e qualcuno che comunque stia accanto. Un tetto e un po’ di affetto diventa la proposta della Caritas. Ci si inserisce in una sperimentazione a livello europeo detta “housing first”, con cui si è dimostrato che – partendo dalla casa – le persone possano meglio ripartire nella vita. E peraltro ci sarà presto anche la disponibilità di ulteriori piccoli appartamentini nel convento di Valverde di Scicli ristrutturato dalla Fondazione San Corrado (braccio operativo della Caritas diocesana) grazie a fondi della Caritas Italiana, dati attraverso la Fondazione di comunità Val di Noto, e a fondi dell’otto per mille diocesano. Dopo la pronta accoglienza, però, occorre non lasciare soli. E la richiesta di mettere a disposizione case, in donazione o in affitto, è supportata dalla possibilità che il dono sarà veramente utile perché il percorso viene monitorato da operatori. Un tetto e un po’ di affetto … Anche l’affetto è chiesto, non in forma eroica, ma come “un po’ ”, quel poco possibile a tutti. Si tratta di essere concreti, si tratta di essere solidali con i fatti e non a parole! La nostra Costituzione pensa la solidarietà come un dovere inderogabile. I cristiani, e chi ha un credo religiosa, la riceve come verità della fede professata. Per questo si spera che l’invito sia accolto, che le nostre città si “cinturino” di solidarietà per resistere all’urto di una crisi che, prima che economica, è sociale, antropologica, spirituale. Ovvero, riguarda la tenuta del tessuto comunitario, che tipo di uomini vogliamo essere, che spazio vogliamo veramente dare a Dio. Quello cristiano, nella memoria che si rinnova a Natale, resta uno che cerca alloggio! E solo nel gesto dell’accoglienza, e non nel rito esteriore, ci sono riconoscimento e salvezza, già “ora”: salvezza dall’egoismo che abbrutisce e scava divari tra ricchi e poveri, possibilità di un futuro ricco di umanità per noi e per tutti.

di Redazione19 Dic 2014 19:12
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