La battaglia di Libera contro le mafie.
A pochi giorni dal trentaduesimo anniversario della strage di via D’Amelio ricordiamo il passaggio di un discorso di Paolo Borsellino che, volendo spronare la società civile, in un incontro pubblico si rivolgeva ai presenti dicendo: “Parlate della mafia. Parlatene alla radio, in televisione, nei giornali, però parlatene!”
Il magistrato, collega/alleato e fraterno amico di Giovanni Falcone, aveva ben chiaro che il rischio che si correva (e che si corre ancora) in tanti territori era quello di abbassare la guardia, lasciando che la mafia operasse indisturbata in un clima dominato da disinteresse o quantomeno da un atteggiamento di costante e diffusa distrazione.
Sulla scia dell’invito che continua a rivolgerci il giudice vittima innocente della mafia, noi del Coordinamento Provinciale di Libera Ragusa più volte siamo intervenuti per manifestare preoccupazione rispetto alla presenza mafiosa/criminale nel ragusano, presenza che le varie relazioni della DIA certificano non solo nella zona nord della provincia, ma anche nella zona sud.
Oggi torniamo ad usare la nostra voce per cercare di alzare l’attenzione sugli elementi messi in luce dalle recenti indagini della magistratura di Siracusa, che sostanzialmente confermano quanto sostenuto in particolare da una delle ultime relazioni semestrali della Dia, cioè che «gli interessi della criminalità organizzata del territorio appaiono orientati anche all’infiltrazione delle attività economiche lecite» (Relazione DIA – primo semestre 2022).
Ci riferiamo a quanto emerge dal lavoro del Tribunale di Siracusa, così come riportano LaSiciliaWeb e altre testate giornalistiche, in relazione ad una nota azienda di Ispica, all’interno della quale avrebbe lavorato un certo Giuseppe Caruso, «detto «U Caliddu”, di Avola (….) affiliato alla cosca mafiosa Trigila Pinnintula, dominante nell’intera area sud della provincia aretusea». L’articolo, pubblicato lo scorso 12 luglio, presenta bene il quadro ricostruito dagli inquirenti «secondo cui il clan era impegnato ad acquisire con il metodo mafioso il controllo e la gestione di attività economiche». In particolare Giuseppe Caruso «era coinvolto in una serie di estorsioni ai danni di operatori del settore agricolo della commercializzazione e dei trasporti di prodotti ortofrutticoli. Di fatto, lavorando per conto di una ditta, la Gali Group Trasporti e Logistica Srl, si era imposto come mediatore, accreditandosi nelle aziende concorrenti come responsabile commerciale, come si evince in una delle tante conversazioni intercettate: “Io sono il responsabile commerciale dell’azienda Gali Group di Galifi”, diceva, impedendo agli altri trasportatori (dei prodotti ortofrutticoli della zona sud della provincia di Siracusa e Ragusa e diretti in tutta Italia) di lavorare liberamente in quello che lui stesso definiva “il suo territorio” e costringendo gli autotrasportatori e le aziende ad avvalersi della propria attività di intermediazione o a versargli somme di denaro». Concludendo l’articolo aggiunge che «Il Tribunale ha verificato la sussistenza di sufficienti elementi indiziari tali da ritenere che il libero esercizio delle attività economiche ed imprenditoriali della società Gali Group Trasporti e Logistica sia stato direttamente o indirettamente sottoposto alle condizioni di intimidazione o di assoggettamento esercitate da Giuseppe Caruso».
Se da una parte esprimiamo la nostra piena fiducia nel lavoro avviato dalla magistratura, del quale attendiamo gli esiti, dall’altra non nascondiamo la nostra preoccupazione rispetto ad una presenza criminale/mafiosa che si mostra sempre più minacciosa nei confronti del nostro territorio e della nostra economia.
La presenza allarmante di metodi criminali è dimostrata infatti dalle indagini portate a termine recentemente – nella loro fase preliminare – dalla Procura di Ragusa, che è competente a Ispica, dopo mesi di duro lavoro della polizia giudiziaria e in seguito a coraggiose denunce degli sfruttati, con pesanti sanzioni e sequestro ad aziende peraltro recidive che secondo l’accusa (e secondo il Giudice delle indagini preliminari) praticavano con continuità caporalato e sfruttamento del lavoro.
Secondo il parere di esponenti della magistratura impegnati su questo fronte «oggi lo sfruttamento del lavoro e in particolare il caporalato rappresentano la nuova frontiera del racket con cui la criminalità ha gioco facile a inserirsi in un tessuto sano tramite il controllo capillare del territorio».
Occorre che tutti, a partire dalle istituzioni e dalla politica locali, alziamo il livello di attenzione nei confronti di un fenomeno contro il quale è necessario prendere posizione in modo deciso ed evidente, anche perché diversamente si rischia la connivenza. Come sosteneva Paolo Borsellino, «politica e mafia sono due poteri che vivono sul controllo dello stesso territorio