La difficile vita degli anestesisti

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Ci segnalano da più parti un problema che sta diventando molto grave in ambito sanitario in particolare a Ragusa e e nel reparto urologia. Sappiamo che da poco è anche andato via il primario e quindi la lista di attesa per delle operazioni di un certo livello è ormai lunghissima. Si dice che si cercano questi specialisti da tutte le parti ma sappiamo anche che ad esempio a Catania da dotazione organza e al completo. Forse si potrebbe togliere qualcosa a Cristo, 3 o 4 anestesisti, per vestire il Giovanni Paolo II. Si dice si dice ma non si fa mai niente ed il cittadino o aspetta con gravi rischi oppure va da qualche parte a pagamento e non è giusto.- Il problema è emerso con l’emergenza sanitaria, ma che in realtà ci portiamo dietro da diversi anni. Quali sono le cause? E le possibili soluzioni? Per fare un esempio  fino allo scorso anno i posti a disposizione per la formazione specialistica erano 900 l’anno. Soltanto con l’emergenza Covid sono stati aumentati a 1.600, ma negli anni precedenti i numeri erano inferiori, anche 600-700 l’anno. A questo va aggiunto anche il problema dei tempi per la specializzazione: quelli che iniziano nel 2020 saranno pronti soltanto tra cinque anni, quindi nel 2025. Elementi di un fenomeno che dimostrano una programmazione poco intelligente avvenuta nel corso del tempo dalle istituzioni e da chi gestisce il Sistema Sanitario Nazionale”.  Ma il numero ridotto di posti non è l’unico motivo per cui in Italia mancano gli anestesisti: ”Il secondo problema che rende questa professione poco attraente riguarda la qualità della vita e il ritorno economico. La vita di una persona  che fa questo mestiere risente molto dell’impegno che, rispetto ad altri, è molto più pesante, soprattutto perché una gran parte del lavoro viene fatto in reperibilità: questo vuol dire che una volta finito il mio turno posso essere chiamato in qualsiasi momento, anche nel cuore della notte. E quando arriva una chiamata, nella maggior parte dei casi si tratta di un’emergenza. Invece, dal punti di vista economico, dovendo lavorare in ospedali, sia pubblici che privati, sono poche le possibilità raggiungere elevati introiti, in quanto l’alternativa è minore’.  Proprio a causa della poca attrattiva dovuta alla qualità della vita e allo stipendio esiste un turn-over molto alto: nella maggior parte dei casi chi raggiunge i requisiti minimi per il pensionamento decide di andare in pensione. Uno ”svuotamento” incrementato dal fatto che nel nostro settore, il 60% dei lavoratori sono donne che, come previsto dalla legge, vanno in pensione prima degli uomini. Diciamo che, alla luce di questo, chi doveva fare delle previsioni ha sbagliato i conti per almeno 10 anni”. Ma, come è inutile piangere sul latte versato, anche in questo caso più che pensare alle cause, è importante pensare alle soluzioni . In primo luogo ben venga l’aumento dei posti disponibili a 1.600 l’anno. Una misura che speriamo diventi strutturale, così come il secondo aspetto che apprezziamo, relativo al meccanismo di reclutare, seppur con compiti di minore complessità, gli specializzandi degli ultimi due anni, a patto che venga garantita la loro formazione e che vengano inseriti in un contesto lavorativo adeguato alla loro preparazione e al loro processo di autonomizzazione”.  ”Un’altra soluzione aggiuntiva  è il ricorso alle cosiddette prestazioni aggiuntive che potrebbero permettere agli specialisti di ottenere nuove ore di lavoro retribuite ma ”slegate” dallo straordinario, che consentano soprattutto di smaltire le lunghe liste di attesa che si sono accumulate dell’inizio della pandemia. Un ritardo che va recuperato in qualche modo e con le stesse forze che avevamo prima della pandemia”.

Articolo estratto dal quotidiano on line To day

di Redazione23 Giu 2023 23:06
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