Il mio ricordo di Franco Battiato.
Riportiamo un articolo di Gianni Papa pubblicato sulla Gazzetta del Sud in occasione della presentazione di un film di Battiato al Golden di Vittoria.
Se il filo della memoria è abbastanza forte, perché sostenuto da un vissuto intenso, e abbastanza delicato, quindi con una sensibilità che si fa sentire ma non diventa invasiva (perché racconta i ricordi, non li impone), ci si può appendere quasi di tutto: lasciando che le foto appena sviluppate del passato asciughino piano al tepore dell’affettuosa appartenenza al tempo ricordato della vita e del tempo.
E se è anche il filo di una memoria colta, che non disdegna i nodi di qualche citazione (dichiarata), sognante (chi ricorda, quale che sia la percentuale di sé stesso che muove i meccanismi mnemonici, non può fare a meno di sognare), a volte tenero a volte impastato di ironia, proposto da Franco Battiato nel suo «Perduto amor», prima fatica dietro la macchina da presa, può diventare la memoria di tutti. Per effetto di una gradevole acquisizione di ricordi che, come avviene per l’irresistibile, inquietante, fatuo dell’Orient Express, ci fanno sentire nostre atmosfere e avventure in realtà mai sperimentate di persona.
Certo, per riuscire nell’impresa (molto più difficile per chi si cimenta con la prima regia) è indispensabile essere artista vero, ultra collaudato nella diversità delle proposte e degli stili espressivi, (forse) anche in qualche modo incoraggiato all’esperienza da una risposta del pubblico ormai scontata nell’ampiezza e nella ripetitività del gradimento per ogni nuova fatica musicale.
Ma non basta, non potrebbe mai bastare: è indispensabile anche una base di partenza (capacità, la mediazione di un’intelligenza agile e attenta, un gusto discreto ma sempre presente) con solide fondamenta che la radichino nel cervello e nel cuore, salvandola da sbavature, lungaggini, compiacimenti.
E dal rischio (grave) dell’autocitazione, che uno tra i più amati personaggi del panorama musicale italiano ha evitato ricorrendo a una colonna sonora di struggente impatto emotivo, che mescola con rotondità oliatissime, senza spigoli vivi a interromperne la fluidità, musica classica e Herbert Pagani, Luigi Fiumicelli e Giorgio Gaber.
Regalando altri profumi al racconto, che si dipana semplice e difficilissimo come lo scorrere del tempo.
Sorretto da ottimi interpreti, dall’eccezionale ricercatezza nella scelta degli abiti (splendidi, mai un “fuori tempo”), dalla accurata ricostruzione anche degli “odori” dei luoghi e con ambientazioni straordinarie (la terra iblea si riconferma set tra i più affascinanti), il film percorre gli anni di una Sicilia finalmente com’era davvero. O come il narratore pensava fosse.
Senza compiacimenti ma anche senza le “etichette” per troppi altri autori inevitabili, pur nuotando nel sogno non manca di essere impietoso: affrontando il viaggio (miracolo) in compagnia di una lingua per una volta autentica in flessioni e sonorità.
Nessuna meraviglia quindi per il pieno gradimento del pubblico nella prima vittoriese, voluta nel suo «Golden» da Giuseppe Gambino, all’ennesima, meritoria proposta di buon cinema supportato “in sala” dal regista e gli attori.
Prima tanti applausi, poi il divertente incontro pilotato da Sebastiano Gesù con Franco Battiato e le protagoniste (Donatella Finocchiaro, Lucia Sardo, Tiziana Lodato): la prima
tappa verso il successo al botteghino per il quale «Perduto amor» appare candidato credibilissimo.
Gianni Papa