Sono cavoli amari
Non c’è dubbio che la cura anti virus sta distruggendo l’economia che avrà bisogno di anni per riprendersi.
Lo dice senza mezzi termini il vice presidente della Regione ed assessore al bilancio Gaetano Armao che ha presentato questa lunga relazione all’Ars sulla situazione economica nell’Isola.
Sono ben 10 pagine ma è un documento interessante. Visto che stiamo a casa per forza, vi invito a leggere questa relazione che fa capire che stiamo andando incontro a momenti difficili che solo grazie a interventi strategici e mirati, grazie a politici illuminati potrà essere superata.
Nulla sarà come prima dopo questa pandemia che è si sanitaria, ma che é e
diverrà ancor di più economica e sociale con una recessione mondiale che vale già più
di 800 md€ e con pesanti effetti sull’occupazione e la crescita e che pesa in Italia, con
un sistema produttivo bloccato al 70%.
Nel nostro Paese un mese di blocco produttivo determina una perdita di 100
miliardi al mese di perdita di PIL. Una crisi che non ha precedenti, come sottolinea il
Fondo monetario internazionale, per dimensioni e gravità, e che per, questo impone una
reazione eccezionale.
E’ ormai opinione condivisa che la nostra sia ormai un’economia da guerra ed
all’esito della pandemia da Coronavirus, non solo occorrerà puntare alla ripresa, ma
occorrerà farlo in un contesto economico profondamente mutato.
E questi effetti riflessi della drammatica situazione che stiamo vivendo, in
un’Italia divisa tra Nord e Sud ed in un’Europa parimenti divisa rischiano di esplicare
le dinamiche più pesanti sopratutto nelle are più deboli, come la nostra Sicilia.
Ci troviamo di fronte ad un fenomeno di proporzioni planetarie ed epocali tali
da determinare una vera e propria palingenesi delle relazioni economiche e, più in
generale, foriero di un nuovo ordine mondiale.
Come è stato osservato dagli analisti in questo contesto si dispiega una vera e
propria competizione sino-americana, che manifestato i profili di guerra sanitaria,
con una forte componente informativa più agevole in uno Stato autocratico,
condotta con soft power (politica della pandemia).
Il Coronavirus sta infatti mutando i rapporti di potenza economica e molto
probabilmente anche finanziaria nel mondo e la possibilità del loro uso geopolitico.
Rafforza la tendenza a ritenere l’Occidente in declino e la Cina in crescita.
La crisi dell’economia mondiale cui stiamo assistendo se provocherà la sicura
diminuzione delle interconnessioni esistenti sia sul lato della domanda che su quello
dell’offerta accelerando quello che ormai può essere pacificamente definito un
processo di de-globalizzazione, sotto altro profilo determinerà la diminuzione
dell’efficienza e l’aumento dei costi delle produzioni, stimolando il nazionalismo
economico, volto in particolare a ridurre la dipendenza delle economie europee e
americana dalle forniture di componentistica estera, in particolare cinese.
Le cronache economiche dimostrano che il blocco dell’economia cinese ha
fermato intere filiere produttive in Europa ed USA, ciò sta conducendo ad una
profonda revisione della ripartizione della catena del valore, con la grave crisi d’interi
settori, quali il turismo, i trasporti aerei e marittimi ed i servizi connessi.
Le economie più vigorose sapranno soddisfare le esigenze di rigenerazione dei
processi produttivi, ma quelle più vulnerabili, con alti livelli di debito ed economie
basate sulle esportazioni (specie se non a prodotti finiti) come quella italiana
dovranno affrontare maggiori difficoltà, se non crisi profonde. Senza cedere alle
tentazioni pessimistiche di chi ritiene che dovremo gestire una “shut-in economy”
(incentrata su distanziamento sociale e riduzione degli spostamenti), occorre lavorare
ad una ripresa in uno scenario profondamente e per certi versi permanentemente
mutato.
Le risposte a questa situazione non possono essere solo nazionali o regionali,
ma debbono essere prima di tutto europee.
2. L’Europa è dinanzi alla crisi più grave, ma anche alla più grande opportunità
dalla sua fondazione.
Dagli effetti determinati dalla pandemia del COVID-19 può emergere
un’Europa più egoista e più frammentata, e le ultime controverse vicende
evidenziano alcune preoccupanti tendenze in tal senso, oppure un’Unione più forte e
più simile a quell’Europa dei popoli, naturale evoluzione del progetto originario
scaturito dalle idee dei fondatori.
Le drammatiche condizioni nelle quali riapriranno le attività economiche e
sociali, dopo la paralisi determinata dal diffondersi della pandemia, impongono di
ripensare la politica economica europea e di considerare le necessarie, urgenti e
straordinarie misure da prendere non come deroghe ad un modello ormai obsoleto
che va definitivamente archiviato ma come profondo mutamento di rotta.
Le idee che hanno guidato la politica economica europea (politiche di
austerità, “fiscal compact”, patto di stabilità etc.), già forzate e contorte, sono ormai
divenute incompatibili con i bisogni e le ansie dei cittadini europei che chiedono
un’Europa solidale e capace di ricostruire un futuro di coesione e crescita.
La Commissione Europea ha elaborato una serie di iniziative per contrastare
gli effetti del COVID-19 (“Coordinated economic response to the COVID-19 Outbreak”), ed
oltre ad allargare le maglie sugli aiuti di Stato (comunicazione n. 1863, “quadro
temporaneo sugli Aiuti di Stato, per consentire agli Stati membri di sostenere maggiormente
l’economia durante l’;epidemia di COVID-19”), ha proposto la rimodulazione della spesa
dei fondi Ue, adesso approvata dal Parlamento europeo nel contesto di un’ampia
iniziativa (“Coronavirus response investment initiative”).
A queste misure, si aggiungono quelle, di assoluto rilievo quantitativo,
intraprese dalla Banca centrale europea, con il programma di acquisto titoli per far
fronte all’emergenza pandemia (“Pandemic Emergency Purchase Programme“), mediante il
quale gli acquisti dei titoli di Stato e privati saranno operati in misura «necessaria e
proporzionata» allo scopo di raggiungere gli «obiettivi del mandato»: di una crescita dei
prezzi vicina, ma inferiore al 2% annuo e la stabilità del sistema finanziario
dell’eurozona nel suo complesso, la disponibilità di credito per l’economia reale e in
ultima analisi la difesa dell’euro.
Ma é ancora troppo poco.
La corretta sospensione del Patto di stabilità e dei rigorismi di bilancio deve
condurre alla loro definitiva revisione ed il “whatever it takes” deve divenire, per ogni
istituzione, il modello di governo della ripresa e del rilancio dell’economia europea,
assicurando credibilità al progetto di Unione.
Occorre completare l’unione fiscale e quella bancaria, va attuato lo “Strumento
di bilancio per la convergenza e la competitività”, e deve ripensarsi del tutto la struttura e le
modalità di funzionamento del “Fondo salva-Stati” (Mes). Come parimenti è
ineludibile, a questo punto, l’adozione della scelta dell’emissione dei “bond europei per la
ripresa” (European Recovery bond) ed in tal senso l’Europa deve dimostrare di restare
fedele ai suoi fondamenti superando egoismi ed anacronistici rigorismi.
Dobbiamo preparare e disegnare la ripresa ritrovando le ragioni di un’Europa
dei popoli, dei loro territori e delle loro culture e non dei governi e delle burocrazie, e
dobbiamo quindi assumerci la responsabilità e il coraggio di superare in modo
definitivo un’Unione incentrata sugli Stati, sui loro diktat ed i loro veti.
La conferenza sul “Futuro dell’Europa”, sopratutto adesso, dopo questa
drammatica crisi sanitaria, ma sopratutto economico-sociale, deve divenire
un’occasione straordinaria per ridisegnare dalle fondamenta questo edificio che,
eliminate le superfetazioni, va riportato all’originaria funzione aggregante con
l’obiettivo di assicurare pace e progresso.
E’ il momento di riconsiderare le regole di funzionamento dell’Unione
Europea ed in questo un ruolo propulsivo deve svolgere il Comitato delle Regioni
che raccoglie le attese e le spinte dei cittadini europei e dei loro territori, in sinergia
con il Parlamento europeo.
L’Unione Europea e i governi, e tra giuristi ed economisti italiani molti lo
sostengono, devono scegliere con coraggio e determinazione un nuovo percorso
arrivando a concordare che:
il pareggio di bilancio valga solo per le spese correnti, liberando quelle per
investimenti;
si varino gli euro o recovery bond con condizionalità attenuata;
la politica fiscale sia utilizzata in funzione anticongiunturale, anche a costo di
aumentare il deficit pubblico;
sia archiviato un modello di sorveglianza sui bilanci basati su parametri inaffidabili e
persino dannosi come il Pil potenziale e l’output gap;
vengano consolidate e rafforzate le scelte operate in materia di aiuti di stato per
sostenere la ripresa.
Solo così l’Unione Europea potrà realizzare gli obiettivi di progresso e
benessere e potrà progredire offrendo un futuro di pace ai nostri figli; in caso
contrario si avvierà verso l’oblio offendo il fianco ai nazionalismi ed ai sovranismi
alimentati da schiere crescenti di cittadini europei delusi.
L’Unione Europea potrà ritrovare slancio ed offrire soluzioni solo ritornando
ai valori iniziali, al progetto che l’ha resa l’innovazione istituzionale più rilevante in un
Continente dilaniato da guerre e devastazioni.
L’Europa dei diritti e della democrazia non può essere uguale a quella che
oggi tarda persino a trovare la convergenza per darsi un bilancio comune superando
le regole rigoristiche che hanno drammaticamente aumentato i divari economico-
sociali al suo interno e ne hanno indebolito, se non pregiudicato, la competitività
internazionale.
Come al termine della guerra mondiale è sorta la concreta esigenza della
ricostruzione e dell’integrazione dell’Europa, oggi dobbiamo porre le basi per un
nuovo destino, disegnato dalla forza unificatrice dell’idea europea, a partire dalle
Regioni e dalle autonomie locali.
L’azione monetaria della BCE a sostegno dell’economia europea si sta
finalmente consolidando e dimensionando per affrontare la crisi più grave non solo
dalla fondazione dell’euro-sistema, ma addirittura dalla fondazione delle istituzioni
europee.
La solidarietà tra i Paesi membri, il rafforzamento delle sinergie economiche,
l’adozione di una politica economica europea d’impatto sulla crisi e di forte rilancio
concertato (new-deal) sono le uniche vie per affrontare drasticamente una crisi senza
precedenti che rischia altrimenti di far regredire l’economia europea assestando sul
piano della competizione internazionale un colpo ferale.
Di fronte ad un nuovo fallimento dell’”Europa degli Stati” ed all’applicazione
di regole di bilancio in taluni casi assurde, abbiamo davanti la possibilità di utilizzare
questa fase di crisi come propellente per conseguire passi avanti nella costruzione
dell’Europa unita delle Regioni e delle autonomie. Perduta questa possibilità non ci
sono ulteriori rimedi.
Occorre tuttavia, ed in questo senso un chiaro indirizzo può ed a mio avviso
deve partire anche dalla nostra Regione, l’adozione di strumenti che possano
consentire di finanziare in modo coordinato la “ricostruzione” dell’economia
europea.
La pandemia COVID-19 è un evento drammatico che manifesta la carenza di
preparazione e resilienza di un’economia sempre più globalizzata e interconnessa, e
certamente non sarà l’ultimo.
Dobbiamo utilizzare questa fase per portare al centro del confronto politico-
economico un approccio che rimetta al primo posto gli interessi delle Regioni,
sopratutto di quelle meridionali. Non lasciamo che questa crisi vada sprecata e da
questo Parlamento deve partire un monito chiaro ed unanime in tal senso.
3. Come rilevato dalla Banca d’Italia la diffusione del coronavirus (COVID-19)
si è inserita in un contesto caratterizzato da prospettive di crescita economica
modesta e soggetta a rischi rilevanti. L'incertezza circa la durata e l'entità della
diffusione del COVID-19 sul nostro territorio e nel resto del mondo rende difficile la
quantificazione delle conseguenze economiche, che dipenderanno dall'operare dei
diversi canali attraverso i quali il contagio e i provvedimenti necessari per limitarne
l’estensione incidono negativamente sull'attività economica. I dati a disposizione, pur
ancora limitati e frammentari, indicano ripercussioni notevoli.
Allo stato non è possibile prevedere quando l'epidemia verrà superata. Una
probabile flessione del PIL e il coinvolgimento di altri paesi rende più che probabile
che si inneschi una crisi economica globale che potrebbe determinare un
peggioramento delle prospettive di crescita tenuto conto della forte vocazione
all’export del nostro Paese.
Ciò si rifletterà sui bilanci pubblici non solo per l’aumento della spesa, ma anche
per l’inevitabile effetto della caduta del PIL sulle entrate.
Nell’attuale fase, conseguentemente, le priorità sono il contenimento
dell’epidemia e il rafforzamento della capacità di risposta del sistema sanitario,
nonché il sostegno di lavoratori, famiglie e imprese.
L’azione pubblica deve garantire le risorse necessarie al rafforzamento delle
attività di prevenzione della diffusione del contagio – inclusa la messa in sicurezza
delle attività produttive ed economiche, a partire da quelle essenziali e non
interrompibili − e degli interventi di cura a favore dei contagiati, per mitigare le
conseguenze dell’aumento dei casi da trattare.
Al tempo stesso, l’azione pubblica deve offrire certezze e garanzie per indurre le
imprese a non licenziare (evitando di ridurre i redditi delle famiglie) e per metterle in
condizione di superare le difficoltà connesse sia con la forte flessione della domanda,
sia con la diffusione del contagio e con le misure di prevenzione dello stesso.
Il Sevizio statistica regionale, ma si tratta delle prime previsioni, stima che la
crisi avrà un fortissimo impatto economico negativo sull'UE e sulla zona euro,
operante tramite l’insieme dei canali citati, e che essa ridurrà la crescita del PIL reale
nel 2020 di 2,5% rispetto allo scenario pre-pandemia.
Considerando perciò che, secondo le previsioni della Commissione Europea, la
crescita del PIL reale nell’UE nel 2020 sarebbe stata dell'1,4%, ne consegue che essa
potrebbe scendere a -1,1% rispetto al 2019, con un recupero sostanziale ma non
completo nel 2021.
Non può essere peraltro tralasciato il riferimento all’ultimo Rapporto di Previsione
di Prometeia, (pubblicato il 27 marzo 2020) che contempla la grave emergenza degli
ultimi giorni e un’ipotesi di lenta e selettiva rimozione dei blocchi produttivi
solamente a partire dal prossimo mese di maggio. L’analisi è infatti particolarmente
dedicata alle caratteristiche dell’emergenza in atto e alle refluenze di sistema.
Mentre dieci anni fa lo scoppio della crisi originò dalla finanza, oggi la natura
dello shock è di tipo reale (i blocchi alle attività e le quarantene). In questa prima fase
sta colpendo soprattutto i servizi, la fetta più importante del valore aggiunto nei paesi
avanzati, con più occupati rispetto alla manifattura e dove le vendite perse
difficilmente possono essere recuperate.
La natura reale e globale di una crisi che parte dai servizi comporta effetti
moltiplicativi molto pesanti legati agli scambi internazionali, rendendo la riduzione di
attività particolarmente intensa.A partire da queste premesse, si delinea uno scenario ancor più pessimistico per
l’Italia, che contiene i seguenti dati:
una contrazione del Pil italiano nel 2020 del 6,5% come risultato della sospensione attuale
delle attività e di un rimbalzo solo graduale verso l’autunno. Quest’ultimo,
proseguendo nel periodo successivo, potrà determinare una crescita di +3,3% nel
2021 e +1,2% nel 2022;
un alleggerimento delle tensioni sui titoli di Stato italiani nel breve periodo, grazie alle
politiche monetarie della Bce, che tuttavia non potrà consentire oltre un certo limite
l’intervento fiscale del governo a supporto alla domanda: a fine 2020 il deficit/Pil avrà
raggiunto il 6,6% e il debito/Pil il 150%; nel medio periodo l’Italia dovrà convivere con
un elevato livello di disavanzo pubblico (di nuovo sotto il 3% solo nel 2022);
una riduzione nel 2020, del Pil mondiale (-1,6%) ed una ancor più notevole del
commercio internazionale di merci (-9,4%). Nel 2021 e 2022 la crescita globale sarà,
rispettivamente, del 4,6% e 3,3%;
Con queste condizioni esogene, il mantenimento della stabilità macroeconomica
nell’Eurozona (Pil 2020 -5,1%; Pil 2021 +3,4%) al di là della situazione dell’Italia,
richiederà una risposta forte e coordinata a livello Ue: ad esempio, attraverso il
finanziamento delle maggiori spese con emissioni di titoli europei dedicati.
4. Nell’economia regionale i settori particolarmente colpiti risultano i trasporti,
il turismo, il settore alberghiero ed il commercio al dettaglio, ma il perdurare delle
misure di contrasto al virus stanno progressivamente, estendendo a tutti i settori
sottoposti al vincolo di chiusura gli effetti recessivi.
Se le previsioni sull’andamento dell’economia nazionale sono quelle illustrate
esse non potranno che determinare effetti peggiorativi su quello regionale, superando
la dinamica regressiva e spingendo la contrazione oltre il 7%.
Questa prospettiva impone da un lato di approvare in tempi brevi un bilancio ed
una legge di stabilità proiettata all’emergenza, ma sopratutto di approntare a livello
regionale e concordare a livello nazionale massicce misure di supporto alla domanda
e di iniezione di liquidità.
Il Governo regionale, come precisato, è già al lavoro su questa prospettiva ed
aperto ad ogni interlocuzione per offrire ai siciliani l’attenzione e le risposte che
questa drammatica vicenda impone.
Nell’immediatezza dell’inizio della crisi sono state assunte alcune iniziative sul
piano economico per il sostegno alle imprese (la moratoria sui mutui d’intesa con
l’ABI-Sicilia, estesa a Crias, Ircac ed Irfis; la misura straordinaria di liquidità affidata ad
Irfis, con l’impiego di 30 milioni € per contributi in conto interessi a finanziamenti da
100.000 € alle imprese al fine di rafforzare il capitale circolante – e questo prima che
autorevoli esponenti dell’economia europea sottolineassero che l’immissione di
liquidità nel sistema mediante agevolazione di accesso al credito costituisce la
soluzione da approntare nell’immediato per garantire ossigeno alle imprese -, il
bando sui tranched-cover/garanzie di portafoglio per 25 milioni € con l’obiettivo di
garantire finanziamenti per 250 milioni€, l’incremento di ulteriori 100 milioni € per la
garanzia sui crediti).
Risulta tuttavia essenziale, come anticipato, la definizione del negoziato
finanziario con il Ministero dell’Economia e le Finanze.
Da ultimo, con nota del 2 marzo 2020 si è segnalato al Ministro dell’economia
che come precisato nel corso dell’ultima riunione del tavolo di confronto istituito già
da gennaio 2019 presso il Ministero, che si è tenuta il 15 gennaio u.s., in assenza di
una piena attuazione dell’accordo del dicembre 2018, lo stesso deve ritenersi
disatteso.
Il Governo regionale, anche a causa di un grave disallineamento delle entrate
rispetto alle previsioni per circa 600 mil. euro, si trova costretto ad intervenire, già in
sede di bilancio 2020-2022, sui capitoli di spesa inerenti l’accordo sottoscritto (la
residua somma dovuta per split payment e 300 mil euro sul concorso alla finanza
pubblica) al fine di garantire l’espletamento delle funzioni attribuite e dei servizi ai
cittadini e raggiungere cosi gli equilibri di bilancio.
I rapporti finanziari tra lo Stato e le autonomie speciali sono, come noto,
regolati dal principio dell'accordo, inteso come vincolo di metodo (e non già di
risultato) e declinato nella forma della leale collaborazione (sentenze n.88/2014, n.
193 e n. 118/2012).
Nei confronti delle autonomie differenziate è così espressamente salvaguardato,
come la stessa Corte Costituzionale ha chiarito nella sentenza n.154/2017, il metodo
pattizio prevedendosi la necessità della stipula di un'intesa bilaterale con ciascuna
autonomia speciale.
Ne discende che, fermo ed impregiudicato restando l’obbligo di concorrere al
risanamento della finanza pubblica, va ritenuto sussistente il limite consensuale
all’incidenza delle decisioni statali sulla finanza regionale (sent. n. 77 del 2015, n.154
del 2017 e n. 103 del 2018) dovendosi ritenere carattere necessariamente transitorio il
regime delle previsioni statali che prescrivevano unilateralmente il contributo al
risanamento della finanza pubblica da parte delle Regioni (Corte cost. sent. n. 154 del
2017, n. 65 del 2016, n. 218 e n. 189 del 2015).
A questo riguardo giova ricordare che il principio di leale collaborazione, sia nei
rapporti Stato-Regione che per quelli tra le Regioni in sede di auto-coordinamento
postula “un confronto autentico, orientato al superiore interesse pubblico di conciliare l'autonomia
finanziaria delle Regioni con l’indefettibile vincolo di concorso di ciascun soggetto ad autonomia
speciale alla manovra di stabilità, sicché su ciascuna delle parti coinvolte ricade un preciso dovere di
collaborazione e di discussione, articolato nelle necessarie fasi dialogiche”(Corte cost n. 103 del
2018).
E tale contributo, contributo imposto alle Regioni speciali, può ritenersi
legittimo se ed in quanto l’accantonamento delle quote di compartecipazione, in
attesa che sopraggiungano le norme di attuazione cui rinvia l’art. 27 della legge n. 42
del 2009, abbia carattere transitorio “perché altrimenti l’accantonamento si tramuterebbe di
fatto in appropriazione”.
La procedura di modifica delle norme di attuazione in materia finanziaria
costituisce, infatti, il “mezzo procedurale con il quale le autonomie speciali, anziché essere private
definitivamente di quanto loro compete, partecipano al risanamento delle finanze pubbliche,
impiegando a tal fine le risorse che lo Stato trattiene. Le quote accantonate rimangono, in tal modo,
nella titolarità della Regione e sono strumentali all’;assolvimento di un compito legittimamente
gravante sul sistema regionale” fermo restando che i rapporti finanziari conseguenti
all’applicazione degli accantonamenti devono necessariamente trovare apposita
regolamentazione “in attesa che sopraggiungano le norme di attuazione cui rinvia l’articolo 27
della legge n. 42 del 2009”(Corte cost. n. 77 del 2015).
Al riguardo giova inoltre ricordare che giusta la sentenza n 6 del 2019 la Corte
costituzionale ha ritenuto illegittimo l’;articolo 1, comma 851, della legge n. 205 del
2017 «nella parte in cui non prevede, nel triennio 2018-2020, adeguate risorse per consentire alla
Regione autonoma Sardegna una fisiologica programmazione nelle more del compimento, secondo i
canoni costituzionali, della trattativa finalizzata alla stipula dell'accordo di finanza pubblica».
Si tratta di un arresto giurisprudenziale di grande momento ed in linea con
quanto la Corte aveva affermato precedentemente circa la necessità che lo Stato
ponga in essere una leale collaborazione con le autonomie territoriali nella gestione
delle politiche di bilancio e della necessità che quest’ultimo riconosca, altresì, la
specifica condizione di insularità.
Secondo il chiaro orientamento del giudice delle leggi, infatti, nelle relazioni
finanziarie tra Stato e Autonomie territoriali, infatti, la “ragione erariale” non può essere
un principio tiranno. Ne discende che nell’adozione delle politiche di bilancio, il
legislatore dispone di una discrezionalità “limitata” dagli effetti delle sentenze della
Corte costituzionale, alle quali deve dare attuazione tempestivamente dopo la
pubblicazione della sentenza e comunque entro la prima manovra di finanza ad essa
successiva.
Alla stregua dei principi delineati, e dopo diversi moniti al legislatore per rendere
razionale e proporzionata la partecipazione delle Autonomie territoriali alla
realizzazione degli obiettivi e al rispetto dei vincoli di finanza pubblica, è giunta così
la dichiarazione di illegittimità costituzionale delle disposizioni della legge di bilancio
dello Stato sulle relazioni finanziarie con la Regione autonoma Sardegna nel triennio
2018-2020.
Al fine di conferire effettività alla propria pronuncia, la Corte ha enucleato dalla
legislazione costituzionale, da quella attuativa e dai propri indirizzi giurisprudenziali i
criteri con cui dovranno essere determinati i contributi spettanti alla Regione
autonoma Sardegna per il triennio 2018-2020, in attesa del perfezionamento
l’accordo definitivo tra lo Stato e la medesima Regione:
1) la dimensione della finanza della Regione rispetto alla finanza pubblica;
2) le funzioni effettivamente esercitate e i relativi oneri;
3) gli svantaggi strutturali permanenti, i costi dell'insularità e i livelli di reddito
pro capite;
4) il valore medio dei contributi alla stabilità della finanza pubblica allargata
imposti agli enti pubblici nel medesimo arco temporale;
5) il finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili
e sociali.
Con particolare riguardo al tema delle entrate, come osservato dalla Corte dei
conti-Sezioni riunite per la Regione Siciliana nel corso della parifica del rendiconto
2018 (13 dicembre 2019, presieduta per l’occasione dal Pres. Buscema), va escluso
che: “i decimi individuati per il calcolo dell’imposta spettante alla Regione siano sufficienti ad
assicurare – come previsto nello Statuto siciliano – un livello di entrate idoneo a sostenere
l’espletamento di tutte le funzioni esercitate in virtù dell’autonomia speciale, specie in considerazione
del’entità del concorso alla finanza pubblica di cui si è detto. La completa attuazione dello Statuto
siciliano, infatti, è un tema ancora aperto”.
In tal guisa, volendo trarre le conclusioni sul tema delle entrate gli stessi giudici
contabili affermano puntualmente “nell’ambito delle risorse complessive, pari a 20.352
milioni (comprese le partite di giro), se si escludono le entrate specificamente destinate alla sanità,
pari a 7,3a tutta evidenza, non appaiono per nulla sufficienti a fornire copertura finanziaria al
complesso quadro di oneri di spesa rigidi né consentono manovre di politica fiscale o economica
finalizzate al rilancio di settori di attività produttive”.
Una considerazione a se stante merita la questione del contributo al risanamento
della finanza pubblica determinato dalla l. n. 145 del 2018, a seguito dell’accordo
concluso il 19 dicembre 2018, in 1.001.000.000 €.
Al riguardo deve ritenersi che la sopravvenuta deroga ai vincoli europei di
bilancio ottenuta dallo Stato possa consentire una temporanea riduzione siccome
proposta dal Governo regionale e recepita dalla Conferenza delle Regioni con un
apposito emendamento presentato al Governo e che prevede per il 2020 ed il 2021 la
riduzione a 300.000.000 euro.
In senso analogo giova poi ricordare la proposta di modifica delle norme di
attuazione in materia di armonizzazione contabile (d.lgs. n. 158 del 2019), successiva
all’approvazione del differimento al 30 settembre del termine per alcuni adempimenti
di riequilibrio, adottata con delibera della Giunta del 28 marzo u.s. che prevede per il
2020 la sospensione del ripianamento del disavanzo regionale.
Ciò anche per far fronte alla circostanza che, ad oggi, l’art. 111 del d.l. n. 18 del
2020, recante previsioni in materia di “Sospensione quota capitale mutui regioni a statuto
ordinario”, limita – ed in termini del tutto discriminatori – alle sole regioni a statuto
ordinario la sospensione delle quote capitale, in scadenza nell’anno 2020 dei prestiti
concessi dal Ministero dell’;economia e finanze e dalla Cassa depositi e prestiti S.p.a. trasferiti
al primo in attuazione dell’articolo 5, commi 1 e 3, del decreto-legge 30
settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003,
n. 326.
Le quote capitale annuali sospese, in tal caso, si prevede vengano rimborsate
nell’;anno successivo a quello di conclusione di ciascun piano di ammortamento
contrattuale.
Infine, una delicata questione riguarda la riforma dei fondi strutturali europei
indotta dalla crisi pandemica appena varata dalla Commissione UE e dal Parlamento
europeo con la riforma dei regolamenti del 2013.
I fondi – com’è noto – sono assegnati in prevalenza alle regioni del
Mezzogiorno, ed in termini ingenti alla Sicilia, com’è nella logica e nelle finalità della
politica di coesione, mentre in questo momento l’emergenza sanitaria e quella socio-
economica dispiegano i propri drammatici effetti su gran parte del territorio
nazionale.
Le risorse del Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR), le risorse del Fondo
Sociale Europeo (FSE) ed i fondi destinati all’agricoltura ed alla pesca, oltre che quelle
di programmi complementari e del Fondo sviluppo e coesione, pur in questa
tremenda congiuntura sanitaria, sociale ed economica debbono mantenere la loro
allocazione regionale e la funzione addizionale rispetto a misure straordinarie che lo
Stato è chiamato a finanziare con la fiscalità generale, spingendo auspicabilmente il
finanziamento in deficit sino a 100 miliardi di euro.
Occorre scongiurare quel che è avvenuto sino ad adesso e che la stessa
Commissione Europea, attraverso il direttore della DG-Regio, Marc Lemaitre, in
ottobre scorso ha contestato formalmente al Governo italiano.
I fondi europei destinati al Sud ed alla Sicilia, in spregio alle previsioni dei
Regolamenti europei, ancora oggi sostituiscono l’intervento ordinario dello Stato, in
violazione del ‘Principio di addizionalità’ sancito dai regolamenti Ue, in base al quale i
fondi europei debbono addizionarsi e non sostituirsi agli interventi ordinari degli
Stati per realizzare il superamento del divario, ancora molto grave, che spacca il
Paese.
Occorre scongiurare che si replichi il “paradigma delle ferrovie”: al nord (come per
l’alta velocità) si realizzano le infrastrutture ed acquistano i mezzi con la fiscalità
generale (di tutti i contribuenti) ed in Sicilia, come nel Sud, in gran parte con le
risorse europee.
La riprogrammazione dei fondi europei e di coesione deve adesso contrastare
gli effetti economici della pandemia e, nel contempo, assicurare l’addizionalità ed in
nessun modo sostituire l’intervento che va assicurato dallo Stato su tutto il territorio
nazionale proprio nel rispetto del principio alla stregua del quale le dotazioni
finanziarie dei Fondi strutturali e di investimento non possono condurre a una
riduzione degli investimenti strutturali nazionali in quelle regioni, ma dovrebbero
rappresentare un’aggiunta alla spesa pubblica
La Regione siciliana ha voluto precisare alla Conferenza delle Regioni e delle
Province autonome che la riprogrammazione dei fondi europei e di coesione non
può destinare, evidentemente, iniziative al di fuori dei territori ai quali sono state
assegnate.
Ma il Governo nazionale deve parimenti chiarire che nei territori meridionali, ed
in particolare in Sicilia, le risorse europee scaturenti dalla riprogrammazione si
devono aggiungere agli interventi statali di contrasto agli effetti economici della
pandemia (addizionalità) per rafforzare la spinte nelle aree economicamente e
socialmente più deboli, scongiurando così alcuna perniciosa sostituzione.
Regioni, giova ricordarlo, già attraversate da una drammatica emigrazione “di
ritorno” di decine di migliaia di operai e studenti, in recessione già prima
dell’irrompere della pandemia, e che vivranno, al termine delle misure sanitarie, mesi,
se non anni, durissimi prima di incrociare la ripresa.
È indubitabile che gli effetti della crisi economica del Sud stanno più pervasivi e
durevoli proprio per l’intrinseca debolezza del tessuto socio-economico meridionale,
sicché occorrerà adottare non solo misure per la ripresa di sostegno alle imprese,
agevolando l’accesso al credito per rafforzare il capitale circolante e la liquidità, ma
sopratutto iniziative di sostegno ai consumi se non di vera e propria assistenza
alimentare.
In conclusione, nella riprogrammazione dei fondi europei e di coesione per far
fronte agli effetti dell’emergenza pandemica si dovrà rispettare l’allocazione delle
attuali dotazioni finanziarie e la loro destinazione regionale ed il principio di
addizionalità delle risorse europee e di coesione rispetto agli interventi ordinari e
straordinari che vanno finanziati con la fiscalità generale.
5. Per adottare politiche di bilancio espansive in questo contesto difficile
occorre l’“idemsentire de republica” e che si rifugga da tattiche declamatorie e
cadornismo. In alcune iniziative questo Parlamento ha saputo dimostrare la capacità
di decidere in fretta e con tangibile coesione tra le forze politiche, come nel caso della
riforma delle procedure amministrative (L.r. n. 7 del 2019) approvata con voto
unanime.
Al termine del primo conflitto mondiale, ad un’Italia uscita vittoriosa dalla
guerra, drammaticamente provata sul piano economico, sociale, ma anche sanitario
(aveva dispiegato i propri tremendi effetti la pandemia influenzale “spagnola”, dopo la
Lombardia era stata infatti la nostra Regione ad offrire il più grande tributo di
vittime, quasi 30.000, che si sommavano ai 45.000 caduti al fronte) un grande
siciliano, V.E. Orlando richiamava la politica al confronto leale e proficuo: “l'ora
impone ardui doveri ed esige lavoro austero e fecondo. Si potrà affermare la più radicale diversità di
concezioni politiche ed escogitare la più opposta varietà di mezzi” richiedendo ai parlamentari
“la più concorde e sincera volontà di costruire le nuove e più grandi fortune del nostro popolo”
(discorso alla Camera del 3.12.1919).
Quello che ci aspetta è un lavoro duro, che sappia cogliere difficoltà ed angosce
dei siciliani di fronte a questa drammatica crisi, ma anche interpretarne l’ansia di
riscatto.
Siamo chiamati, quindi, a dare alla Sicilia – e come da tempo ribadito nel più
breve tempo possibile – un bilancio ed una legge di stabilità che sblocchino la spesa,
mobilitino risorse ed investimenti, offrano strumenti e misure per affrontare
recessione e disagio sociale, introducano riforme strutturali e massima
semplificazione.