Legambiente: “Disastro ambientale rispecchia il fallimento della poltica”
E’ specchio e frutto di una serie di fallimenti il gravissimo disastro ambientale, relativo all’aggravarsi, dopo circa due anni, dell’inquinamento delle due preziose sorgenti Oro e Misericordia, con i conseguenti: inquinamento del torrente Ciaramite (uno dei gioielli degli Iblei), moria della fauna ittica (la trota macrostigma, specie di interesse comunitario e oggetto di un pluriennale impegnativo programma di reintroduzione) e inquinamento di alcuni pozzi di approvvigionamento idrico della città di Ragusa. Un disastro che priva la città in un sol colpo di ben 4 punti di approvvigionamento idrico: un bel record per un territorio che praticamente ‘naviga’ sull’acqua e che paradossalmente adesso si trova povero della stessa. Un disastro che è forse il frutto più avvelenato lasciato alla comunità iblea dalla malagestione comunale: una vera e propria ‘bomba ad orologeria’ che è deflagrata quando alcuni dei principali responsabili hanno preso il volo per altri lidi. C’è il fallimento della politica ed amministrazione iblea, che ha in un colpo solo è riuscita a dare il peggio di sé: incapacità (o disinteresse) per una gestione territoriale sostenibile, che prevenisse il problema; incapacità della gestione delle risorse idriche, visto che l’inquinamento si è presentato ed addirittura probabilmente l’acqua inquinata per un certo periodo è stata immessa in rete, cioè fatta bere ai cittadini ragusani; incapacità della gestione del ciclo dei rifiuti, visto che da una parte si è permesso che i liquami agricoli andassero a finire in falda e dall’altra non si è messa in atto alcuna strategia per rendere il rifiuto (liquame) un bene positivo, invece che un fattore di rischio. Per esempio si poteva avviare una politica di produzione di biogas, come viene fatto in diverse aree agricole d’Italia, con beneficio per l’ambiente e per le tasche delle imprese agricole (alla faccia di chi ancora sostiene che ecologia ed economia non possano andare a braccetto). Purtroppo, se ce n’era ancora bisogno, la politica iblea si trova (in grandissima parte) malata dei mali che già conosciamo: autoreferenzialità, ricerca del potere, del denaro e del successo individuali e di casta, ignoranza, incapacità. E vediamo, come già molte altre volte, che chi ha gestito in modo così disastroso il territorio ed i beni comuni viene addirittura premiato con consulenze, incarichi dirigenziali, prestigiose poltrone… purtroppo con la complicità di buona parte dell’opinione pubblica, abbindolata da abbaglianti specchietti per le allodole, quali megaporti, rotatorie, megaparcheggi e quant’altro…Fa male dirlo, ma c’è anche il fallimento del movimento per l’acqua pubblica ibleo: un movimento che aveva avuto il pregio di riportare all’attenzione il problema della gestione dei beni comuni come occasione per costruire una nuova economia e socialità. La straordinaria occasione della vittoria del referendum, abbiamo più volte detto, doveva essere solo il primo passo per una gestione diversa del bene pubblico. Non ci si poteva cullare sul fatto che l’acqua non venisse gestita dai privati, lasciandola in tal modo all’insipienza della politica locale. Il consenso e l’interesse mostrato dai cittadini per la problematica acqua doveva essere ‘speso’ nell’avvio di un nuovo percorso di gestione realmente sostenibile e partecipata del bene comune acqua (e quindi del territorio da cui questo bene deriva). Invece la vittoria al referendum, che era il traguardo di una tappa, è stato visto come vittoria finale del giro, con le tragiche conseguenze che stiamo vivendo in questi giorni. La moria di trote macrostigma, che si sono immolate per noi, svolgendo in pieno quello che è il loro ruolo ‘sociale’, cioè quello di sentinelle, di spie dello stato dell’ambiente, ci lancia proprio questo messaggio: non ci può essere gestione idrica sostenibile senza gestione territoriale sostenibile, senza attenzione e cura per l’ambiente. L’abbiamo più volte ribadito (ad esempio quando si trovarono i nitrati nelle acque per Marina di Ragusa) e le vicende di questi giorni lo confermano: chiediamo alla comunità ragusana di aprire gli occhi e di contribuire e partecipare alla nascita di una nuova stagione nella gestione dei beni comuni. Di spostare il sistema di valori dal consumo fine a sé stesso, dall’ammirazione e dalla richiesta di grandi opere, alla valorizzazione seria del territorio, dell’ambiente della cultura. Senza di ciò non si va da nessuna parte.