Aumento della povertà assoluta.
In Italia, quasi un decimo della popolazione – 5,7 milioni di persone – vive in povertà assoluta. Il Rapporto 2024 su Povertà ed Esclusione Sociale di Caritas Italiana, intitolato “Fili d’erba nelle crepe. Risposte di speranza”, evidenzia come povertà ed esclusione siano fenomeni che continuano a crescere in maniera preoccupante nonostante gli sforzi politici e istituzionali. Il giornale Interris.it ha intervistato Walter Nanni, responsabile dell’Ufficio Studi di Caritas Italiana, per analizzare il rapporto Caritas, che offre un quadro dettagliato sul crescente disagio economico e sociale nel Paese. Nanni pone l’accento su temi drammatici come l’aumento della povertà assoluta, il fenomeno dei working poor e l’impatto della povertà educativa sui giovani, sottolineando anche le difficoltà delle politiche pubbliche nel contrastare tali emergenze. Attraverso le esperienze delle Caritas locali, il rapporto non solo fotografa le fragilità attuali, ma invita a riflettere sulle azioni necessarie per invertire la rotta. Qual è il dato maggiormente rilevante del rapporto 2024 è è stato chiesto a Nanni. “Il dato più forte è che nonostante le tante misure introdotte nel corso degli ultimi vent’anni, i cinque diversi interventi nazionali di reddito minimo e tanti altri provvedimenti spot, nazionali e locali, la povertà assoluta continua ad aumentare. Oggi in Italia vive in una condizione di povertà assoluta il 9,7% della popolazione, praticamente una persona su dieci. Il dato è il più alto della serie storica, non accennando a diminuire. Dal 2014 ad oggi la crescita è stata quasi ininterrotta, raggiungendo picchi eccezionali dopo la pandemia, passando dal 6,9% al 9,7% sul piano individuale e dal 6,2% all’8,4% sul piano familiare. Dal 2014 al 2023 il numero di famiglie povere residenti al Nord è praticamente raddoppiato, passando da 506mila nuclei a quasi un milione (+97,2%). Oggi in Italia il numero delle famiglie povere delle regioni del Nord supera quello di Sud e Isole complessivamente”.
Quali fattori strutturali hanno contribuito al raddoppio delle famiglie povere nel Nord?
“Ci sono diversi fattori. In primo luogo, nelle regioni del Nord Italia vivono più stranieri, ed è noto che tra la popolazione straniera l’incidenza della povertà è sicuramente più rilevante. Bastano pochi dati per confermare tale sperequazione: nel 2023, si contano oltre 1,7 milioni di stranieri in povertà assoluta, con un’incidenza individuale pari al 35,1%, oltre quattro volte e mezzo superiore a quella degli italiani (7,4%). Nel Nord Italia, il 60% delle famiglie povere del Nord sono straniere, e questo è uno dei motivi dell’alta crescita dei nuclei familiari in povertà assoluta nelle regioni settentrionali. Altri fattori che contribuiscono sono il carovita e la scarsa fruizione delle misure di contrasto alla povertà rispetto a quanto avviene nel Mezzogiorno. Non va infine sottovalutato il sempre meno significativo peso della dimensione familiare allargata nel Nord, che invece nel Mezzogiorno continua a svolgere una funzione di protezione sociale”.
Il dato sulla povertà minorile è ai massimi storici. Quanto incide la povertà educativa nella riproduzione della povertà generazionale?
“È stretto il binomio tra povertà economica e povertà educativa: il 67,3% degli assistiti dalla Caritas possiede al massimo la licenza media inferiore. E da genitori con bassi livelli di formazione molto spesso si originano figli anch’essi con bassi livelli educativi, protagonisti di storie di dispersione e abbandono scolastico non formalizzato, che si traduce in ripetenze e cattivi risultati piuttosto che cessazione definitiva del percorso scolastico prima del termine del ciclo dell’obbligo”.
L’8% degli occupati vive in povertà, con un picco del 16,5% tra gli operai. Quali interventi sono necessari per contrastare il fenomeno dei “working poor”?
“Il fenomeno riguarda tante situazioni diverse, e sarebbero necessarie misure diverse. Laddove vi sono fenomeni di lavoro grigio, in parte regolare e in parte irregolare, sarebbero necessari controlli stretti delle autorità di polizia, soprattutto nei settori ad alto rischio (edilizia, bracciantato, ristorazione, ecc.). In altri casi pesa il mancato rinnovo dei contratti di lavoro che produce bassi livelli retributivi: in Italia un contratto collettivo su tre è scaduto e rinnovarlo non è sempre facile. Infine, va evidenziato il basso livello retributivo delle donne, più spesso in posizioni di part-time e precariato: in questo caso l’intervento è di tipo preventivo, di promozione di un maggior ruolo della donna nel mercato del lavoro”.
Attraverso quali progetti o iniziative Caritas italiana viene incontro alle esigenze delle famiglie?
“Gli interventi sono oltre 3 milioni e mezzo, tra cui soprattutto erogazioni di beni materiali (73,7%). Ma dietro ogni intervento materiale è presente una grande attenzione all’accompagnamento e alla dimensione della promozione umana: il povero non è solo, e dietro l’intervento dell’operatore Caritas c’è una comunità che osserva, ascolta e discerne per animare il territorio e sensibilizzare le istituzioni”.