L’Opec boccia Cop 28.

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Pochi lo hanno notato,, ma il testo finale della COP28 sembra concordare con quanto deciso pochi giorni prima a Doha, alla 12esima Conferenza araba sull’energia. Al termine di quell’incontro, il segretario generale Haitham Al Ghais, ha esortato i membri dell’Opec a bocciare alla COP28 di Dubai qualunque soluzione che prevedesse il phase out. E così è stato. I paesi dell’Opec, il principale cartello di produttori di petrolio, controllano circa l’80 per cento delle riserve mondiali di petrolio. E la maggior parte di queste si trova in Medio Oriente. Per questi paesi, i ricavi petroliferi rappresentano la principale fonte di reddito. Gli Emirati Arabi Uniti, secondo paese arabo a ospitare il vertice sul clima dopo l’Egitto nel 2022 e membro dell’Opec, a Doha, pochi giorni prima dell’inizio dei lavori della COP28, avevano chiesto una transizione energetica che considerasse “più realisticamente” il ruolo dei combustibili fossili nel garantire l’approvvigionamento energetico. Dal canto suo, l’Arabia Saudita, leader de facto dell’Opec, a Doha aveva insistito perché nel documento finale della COP28 si parlasse più di riduzione delle emissioni, che dei combustibili fossili che le causano. E così è stato.  Infatti nel documento finale della COP28 svoltosi a Dubai,  pubblicato dall’UNFCCC, si è giocato molto sulle parole.   Le nuove parole d’ordine sono “transition away” e “unabated”. Non si parla di eliminare o di ridurre drasticamente l’uso dei combustibili fossili che emettono CO2, ma di intraprendere un cambiamento (“transition away”, appunto). Ma questo potrebbe durare decenni. Quanto al termine “unabated”, è la strategia che ha prevalso sulle tre possibili: un’uscita “ordinata ed equa” dall’uso dei combustibili fossili; la seconda, definita “no text”, ovvero non fare nulla sull’argomento; e la terza adottare “un’accelerazione degli sforzi verso l’uscita dalle fonti fossili unabated, riducendo il loro uso al fine di raggiungere l’azzeramento delle emissioni nette di CO2 nel sistema sistemi energetici entro o attorno alla metà del secolo”. In altri termini, “unabated” significa limitare gli interventi per la riduzione delle emissioni di CO2 alle infrastrutture che utilizzano combustibili fossili come carbone, petrolio e gas ma che sono prive di sistemi di cattura della CO2 emessa. Un recente rapporto del Gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite (Ipcc) definisce impianti “unabated”, “quelli non sottoposti ad interventi che permettono di ridurre considerevolmente le emissioni di gas ad effetto serra”. Il rischio è quello di “annacquare” l’azione climatica globale. Ancora una volta, importanti i numeri. Nel 2022, solo poche decine gli impianti in tutto il mondo disponevano di sistemi di cattura e stoccaggio della CO2. La loro capacità di assorbire CO2 si aggirava intorno a 45 milioni di tonnellate (dati dell’Agenzia Internazionale per l’Energia). Per limitare l’aumento delle temperature medie globali a 1,5°C sarebbe necessario ridurre le emissioni mondiali di 22 miliardi di tonnellate nel corso dei prossimi sette anni.
Poco chiara soprattutto  la posizione sul nucleare di alcuni paesi durante l’incontro di Dubai. Una ventina di paesi guidati da Stati Uniti d’America e Francia hanno presentato il piano per triplicare la capacità installata globale di energia atomica entro metà secolo (rispetto ai livelli del 2020). Secondo i firmatari, utilizzare l’energia nucleare consentirebbe di limitare l’aumento delle temperature medie globali a 1,5°C. Ancora una volta numeri diversi da quelli dell’Agenzia Internazionale dell’Energia che, nella sua roadmap per emissioni nette zero, prevede cifre ben diverse. Oggi, l’energia prodotta con il nucleare copre una minima parte del mix elettrico globale (poco più del 5%). Rendere concreti questi impegni comporterebbe investimenti considerevoli e, aspetto non secondario, tempi lunghi visto che costruire una centrale nucleare non è facile né veloce. Quanto ai limiti legati a questa fonte energetica, se da un lato è vero che il ricorso al nucleare riduce le emissioni di CO2, dall’altro aumenta anche i pericoli per la natura e per l’uomo in caso di incident. Il Belgio non ha firmato l’accordo, ma ha annunciato che ospiterà il primo vertice mondiale sul nucleare. Quanto all’Italia, la premier Meloni è apparsa favorevole al nucleare: nei mesi scorsi, il governo ha stanziato fondi considerevoli per il nucleare. Il nucleare è stato anche inserito al centro della strategia italiana per la transizione del nuovo PNIEC (ed è stata creata la Piattaforma per un Nucleare Sostenibile. Come se si volesse a tutti i costi riaprire il discorso sul nucleare chiuso dal referendum popolare degli anni Ottanta (a seguito del disastro di Chernobyl). L’Italia non ha aderito alla dichiarazione sul nucleare alla COP28. “Su queste questioni bisogna essere sempre molto pragmatici e non ideologici: io non ho preclusioni su nessuna tecnologia che possa essere sicura e che possa aiutarci a diversificare la nostra produzione energetica”, ha detto la Meloni . ni di CO2 assume sempre di più i contorni di un fallimento a livello globale.

di Direttore16 Dic 2023 17:12
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