Centro Studi SEREI: protesta unanime contro il deposito di scorie

Grande clamore, negli ultimi giorni, ha suscitato la notizia che in Sicilia sono state individuate quattro delle totali 67 aree selezionate (in sole sette regioni) e candidate, loro malgrado, ad ospitare il Deposito Nazionale dei rifiuti nucleari.  Dallo scorso 5 gennaio è partita la consultazione pubblica necessaria per l’individuazione finale della locazione.  In ogni modo, qualunque sarà il luogo scelto dove far nascere il Deposito Nazionale per i rifiuti nucleari, i numeri che lo caratterizzeranno li conosciamo già: un investimento da quasi 900milioni di euro, per costruire in un’area da 150 ettari – qualcosa come 200 campi di calcio – un bacino di raccolta all’interno del quale verranno edificate 90 celle in cemento armato speciale alte 10 metri e larghe 27×15. Al completamento dello stoccaggio, tutte le strutture verranno ricoperte da terra costituendo una sorta di collina artificiale che custodirà i rifiuti fino a quando la radioattività non sarà esaurita, cioè per i successivi tre secoli e mezzo. La normativa nazionale concede 60 giorni di tempo per presentare osservazioni e proposte al piano e, quindi, per esprimere contrarietà alla selezione delle aree siciliane. Per questa ragione per il Centro Studi Socio-Economico di Ragusa e degli Iblei è doveroso fare alcune considerazioni. La Sicilia subisce, da sempre, un trattamento indegno e prova ne è la cronica carenza infrastrutturale nella quale si trova. Non solo: le scelte che riguardano per esempio la gestione dei rifiuti ci hanno messo nelle condizioni di non poter aprire più discariche, ma neanche di prevedere la costruzione di termovalorizzatori, con il plauso corale delle associazioni ambientaliste. Il risultato? La Sicilia non riesce a smaltire i propri rifiuti, le tariffe per la gestione del servizio di raccolta sono alle stelle ovunque e nonostante le numerose realtà virtuose per ciò che riguarda la differenziata non si riesce a trarne un profitto tale da avvantaggiare i cittadini. Quindi, discariche no, termovalorizzatori no, deposito nazionale italiano di rifiuti radioattivi sì. Ci sembra un bel paradosso. In più, è da segnalare che la Sicilia è un’isola interamente sottoposta a rischio sismico e dove su su 390 comuni, ce ne sono 27 dove il rischio è alto e ben 329 dove è medio. Dei quattro siti individuati come potenzialmente idonei solo uno si troverebbe nell’area a rischio minimo. Minimo, non nullo! A noi del Centro Studi Socio-Economico di Ragusa e degli Iblei, pur operando in un’area della Sicilia non direttamente coinvolta da questa selezione, tutto ciò sembra semplicemente una follia.

La Sicilia ha già subìto abbastanza: pensiamo ai petrolchimici di Gela, Milazzo e Priolo, al Muos, alle estrazioni petrolifere in mare, al sacrificio della riviera palermitana per consentire l’impianto di una industria automobilistica che ha prodotto solo contributi a fondo perduto e disoccupazione, abbiamo dovuto rinunciare al Corridoio 1 Berlino-Palermo perché non si è fatto il Ponte sullo Stretto e, per lo stesso motivo, per quanto riguarda le Vie del Mare l’isola di Malta è collegata alla Sicilia da Palermo anziché Pozzallo, senza parlare poi della rete ferroviaria disastrosa. Ci sembra davvero troppo.

Riteniamo che su questa vicenda i cittadini siciliani abbiano tutti il diritto-dovere di informarsi al meglio delle loro capacità – e rapidamente – e pensiamo che ognuno di loro debba far pesare la propria opinione nei confronti delle istituzioni e di tutti quegli organismi legalmente titolati ad esprimere contrarietà all’individuazione della Sicilia come sede del Deposito Nazionale. Il Centro Studi SEREI è convinto che questa occasione sia una di quelle che debbano andare perdute e che tutti i siciliani devono operarsi per questo. Rimangono poco meno di 60 giorni per farlo e ci auguriamo che dall’intera isola si sollevi un coro di protesta capace di impedire questo scempio.

di Direttore10 Gen 2021 20:01
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