Ciao Filippo, eri una cosa bella e ti hanno ammazzato

Hanno am­ma­z­za­to il gatto Fi­lip­po, la mas­cot­te di via Ma­ri­an­ni­na Coffa.
Chiun­que abbia pas­sa­to, nell’ul­ti­mo anno, al­me­no un paio d’ore in quel­la via lo ha in­con­tra­to si­cu­ra­men­te, ri­ma­nen­do af­fas­ci­na­to dal ca­r­at­te­re di quel fe­li­no rand­agio che, in­ve­ce, in un certo senso, era pro­prio il pa­dro­ne di casa.
Era di­ven­ta­to, in­fat­ti, non solo l’esem­pio di come un insie­me di realtà com­mer­cia­li, come quel­le che in via Coffa ope­ra­no e pro­du­co­no, possa es­se­re in grado di pren­der­si cura di un rand­agio, ma il sim­bo­lo st­es­so della stra­or­di­na­ria con­di­zio­ne di col­la­bo­ra­zio­ne nata tra con­cor­ren­ti eco­no­mi­ci (ris­to­ran­ti­ni, bar e lounge-​bar) che hanno com­preso come quei 90 metri di area pe­do­na­le nel cen­tro della città sono un pa­tri­mo­nio. Ques­ti com­mer­cian­ti or­ga­ni­z­za­no even­ti e co­ope­ra­no per in­vi­ta­re i cit­ta­di­ni a tras­cor­re­re il loro tempo li­be­ro nel cen­tro sto­ri­co di Ra­gu­sa su­pe­rio­re e allo st­es­so tempo si oc­cu­pa­va­no di Fi­lip­po. Nes­sun im­pe­g­no stra­or­di­na­rio, bad­a­te bene, gius­to un po’ di cibo e dell’acqua di tanto in tanto per un gatto che, si sa, è una di quel­le crea­tu­re in grado di cav­ar­se­la da sole. E af­fet­to. Sì, per­ché c’era chi lo os­pi­ta­va den­tro i pro­pri lo­ca­li quan­do la gior­na­ta era trop­po calda o in casa pro­pria nelle sere assai fre­d­de e ques­to si chia­ma “af­fet­to”.
Lui, Fi­lip­po, che scemo non era per nien­te, aveva de­ci­so che, no­no­stan­te gli “sci­oc­chi umani” (tipi­co pen­sie­ro di un qual­sia­si gatto) via Coffa era un gran bel posto dove vi­ve­re.
Si ag­gi­ra­va per i ta­vo­li­ni dei ris­to­ran­ti, fa­ce­va qual­che moina e si bec­cava coc­co­le e cibo. Aveva l’at­teg­gia­men­to del “capo”, per­so­nal­men­te mi dava l’idea d’es­se­re una ver­sio­ne fe­li­na di Steve McQueen.
Era tal­men­te a suo agio che era di­ven­ta­to quasi un’at­tra­zio­ne: cen­ti­naia di tu­ris­ti lo hanno ac­ca­re­z­za­to e fo­to­gra­fa­to, a tutti, per­fi­no a chi i gatti pro­prio non piac­c­io­no, ha stra­ppa­to un sor­ri­so. Ep­pu­re…
Martedì po­me­rig­gio lo hanno tro­va­to morto sotto un’auto par­che­g­gia­ta. Av­ve­le­na­to, di­co­no, ed io ci credo. Non era gatto che pot­es­se mo­ri­re in­ves­ti­to, sa­pe­va il fatto suo. Ed era in ot­ti­ma sa­lu­te. Quin­di qual­cu­no lo ha am­ma­z­za­to.
Ora, per­ché ne sto scri­ven­do così lun­ga­men­te?
Per­ché Fi­lip­po era una cosa bella. Una di quel­le ca­pa­ci di ra­ddri­z­za­re una gior­na­ta stor­ta per­ché me­ta­fo­re della serenità in una vita co­mun­que com­pli­ca­ta. Ed io au­gu­ro a chiun­que sia stato l’au­to­re di un gesto così vigliac­co, di non avere mai un at­ti­mo di serenità, di non poter mai com­pren­de­re la bel­le­z­za, di non vi­ve­re più. Non di mo­ri­re, sa­reb­be un po’ ba­na­le oltre che in­uti­le. Gli au­gu­ro di non vi­ve­re, di per­der­si nella nullità che, dalla morte di Fi­lip­po, deve di­vo­rargli l’esis­ten­za.

di Leandro Papa18 Set 2014 16:09
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