Salario minimo, verso una norma Europea?

C’è ancora un’Europa che possa andare incontro alle esigenze economiche dei suoi cittadini? Forse sì. O quanto meno: nelle intenzioni potrebbe ancora esistere, grazie al dibattito intorno al salario minimo.

I ministri del lavoro della UE hanno appena approvato una norma che introdurrebbe il salario minimo europeo: una soglia ideale, sotto la quale non si potrebbe (o dovrebbe) andare. Si tratta di uno dei provvedimenti contenuti nel cosiddetto “pilastro sociale” (il programma per il contrasto delle disuguaglianze in seno all’Unione).

Oltre alla novità del salario minimo, nel pilastro si riversano anche i temi dell’uguaglianza di trattamento del lavoratore (a prescindere dal contratto) e del contrasto alle forme di lavoro che potrebbero degenerare nel precariato. Tuttavia, l’ultima parola spetta ai singoli governi nazionali. Ed è qui che la situazione si complica.

Dalle parole ai fatti

In ambito europeo, il testo verrà siglato il prossimo 17 novembre (in scaletta per il prossimo summit su lavoro ed occupazione, che si svolgerà a Göteborg, Svezia). Poi ovviamente seguirebbe la “traduzione” negli ordinamenti dei singoli Stati.

Una condizione essenziale per poter approdare ad un risultato sensibilmente concreto. Una condizione che fa scattare un campanello d’allarme ben sintetizzato nelle parole del leader del Pse (Partito socialista europeo), Sergei Stanishev, che oltretutto ha fatto trasparire l’ansia di vedere tramutati in fatti i validi proposti discussi nel pilastro sociale, tra cui per l’appunto la norma del salario minimo.

Testualmente, Stanishev, spiega che “una volta che il pilastro sociale è stato proclamato, occorre produrre un piano d’azione”. Una richiesta di concretezza, aldilà delle belle parole.

Nessun salario minimo in Italia

Il passaggio per l’approvazione del provvedimento da parte dei singoli stati, risulta cruciale non solo per il normale processo tecnico-normativo per l’introduzione della norma, ma anche a causa di un fattore culturale.

Infatti, alcuni Paesi hanno già dimostrato apertura e sensibilità per il tema del reddito minimo (meglio noto come reddito di cittadinanza grazie alla presenza del tema all’interno di alcune campagne elettorali). Basti pensare che in Finlandia il reddito minimo è calcolato in 560 euro, previsto per legge a partire dall’inizio di quest’anno.

Anche molte altre nazioni hanno introdotto norme simili prima del Belpaese: addirittura i Paesi del blocco dell’est, notoriamente più poveri, sono riusciti ad arrivarci prima di noi. L’Italia, nel dibattito sul reddito minimo, sembra essere rimasta indietro… incapace di trovare la quadra.

Però c’è il REI

In Italia, quindi, non esiste ancora chiarezza sul tema del reddito minimo (o di cittadinanza). Cavallo di battaglia per alcuni (come ad esempio per il M5S), resta comunque materia oscura per i più. Alcune settimane fa ci siamo avvicinati al tema, con l’approvazione del reddito di inclusione sociale (REI).

Possono accedere al REI coloro il cui ISEE non superi i 6000 euro, e avranno la precedenza le famiglie con minorenni o disabili a carico. Secondo le stime, a partire dalla sua introduzione (gennaio 2018), il REI potrebbe arrivare a toccare 500mila famiglie (1,8 milioni di italiani).

Tuttavia, le opposizioni si sono scatenate contro il REI definendolo un “contentino” elargito dalla maggioranza, in vista di una confusa e delicata stagione elettorale. Il tema del reddito minimo tornerà certamente ad essere al centro del dibattito politico nei prossimi mesi.

di Redazione26 Ott 2017 14:10
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