Muore il Corfilac e forse è un bene! O è un altro "scippo" al nostro territorio?

Come scrivevamo qualche giorno fa: il 30 dicembre di quest’anno, secondo lo Statuto, il Corfilac morirà, a patto che i soci non dimostrino, e non sembra così, una precisa volontà di allungarne la vita.

Certo ci dispiace per i dipendenti del Corfilac, che dal prossimo anno dovranno cercarsi un nuovo lavoro, come ci dispiace che Ragusa perda un centro di primissimo livello, un ente che ha dato lustro al nostro territorio, che ha rappresentato una concreta possibilità di crescita e di sviluppo per la nostra terra e per l’intero comparto zootecnico.
Il Corfilac nacque sotto i migliori auspici e, a dirla tutta, per gran parte della sua vita è riuscito a onorarli. Centro di ricerca d’eccellenza, prima struttura in Sicilia in grado di certificare i prodotti caseari, ma pure unico centro a possedere una Cacioteca Regionale e non solo, il Corfilac era – o è ancora – tanto altro. Il che non è poco, ma questa, a quanto pare, è solo storia. E se così è, ossia se il Corfilac si è tramutato nell’ennesimo carrozzone mangia soldi, se la sua fine è già stata scritta, noi, non abbiamo remore a celebrarne il funerale.
Da qualche anno a questa parte, infatti, il Corfilac sembra aver perso tutto il suo appeal. La Regione non scommette più sulla sua creatura, come, del resto, il Comune di Ragusa e l’Università di Catania. E allora ci domandiamo: perché affezionarci ad un’idea? Perché dovremmo fare di tutto per scongiurarne la fine? E soprattutto: ma quanto produce il Corfilac? O meglio, quanto costa alla collettività e quanto riesce a restituirle? Quanto serve effettivamente al territorio e alla Sicilia questo centro?
Sarà brutale, ma bisogna ragionare solo per costi e benefici.
Il timore infatti è uno. Se negli anni si è perso lo spirito originario del progetto e nessuno si prende la briga di recuperarlo o di mettere la parola fine, il rischio è sempre lo sesto: vedere quest’istituto tramutarsi nell’ennesimo ente inutile.
Questa è la situazione. A volte, però, le cose non sono come appaiono.
Diciamo, ma è una nostra ipotesi, che il Corfilac ha lavorato bene, anzi troppo bene e ciò ha dato fastidio, suscitando di conseguenza le invidie e le mire dei più che, pian piano, hanno iniziato a pensare che a Ragusa, una realtà di questo tipo, non poteva e non doveva esistere. Ecco spiegati i tanti boicottaggi.
Su tutti, i tagli regionali che sono diventati via via più consistenti e, poi, gli strani presidenti che si sono avvicendati dopo l’era Licitra. Gente di primissimo piano intendiamoci, come il dr. Colombo o il prof. Barbagallo, ma che, guarda caso, non hanno i titoli (da Statuto) per gestire la struttura suddetta, quasi fossero dei liquidatori, dei commissari nominati ad acta.
Ma la Regione in questa operazione di accerchiamento non ci sembra sola. L’Università di Catania vede nel Corfilac oramai un competitor e non un valido alleato. Con la sua attività di ricerca, con le sue numerosissime pubblicazioni scientifiche in campo internazionale, sta mettendo in cattiva luce l’operato dei “baroni” dell’Ateneo, i quali possono vantare una o due pubblicazioni scientifiche l’anno contro le 6/7 del Corfilac.
Politica, da lì tutto nasce e lì tutto finisce.
Possiamo parlare dei presidenti Lombardo e Crocetta o degli assessori regionali all’Agricoltura, Cartabellotta e Cracolici che negli anni hanno lavorato, più o meno esplicitamente, contro questo centro. Prima per chiuderlo e poi per fare in modo, è questa la nostra impressione, che venga assorbito da qualche altro ente di ricerca, magari più vicino alla politica, magari in un’altra città, magari in difficoltà economiche. Sarà un caso, ma si fa un gran parlare anche dell’Asca di Ispica (Centro per l’Analisi e Servizi per la Certificazione in Agricoltura) e dell’Esa di Palermo (Ente Sviluppo Agricolo).
Se fosse così, ma è solo speculazione lo ribadiamo, non ci sarebbe nulla di nuovo, come dire non ci stupiremmo più di tanto, in fondo è da un po’ che Palermo sta lavorando ad un progressivo depotenziamento delle risorse della nostra provincia, vedi i vari e troppi commissariamenti o i numerosi tentativi – molti riusciti – di assoggettamento della nostra provincia a quelle di Siracusa o Catania.
Il grande assente in questa battaglia sembra essere proprio la nostra rappresentanza politica. In primis il Comune di Ragusa, l’Amministrazione Piccitto, che non può limitarsi a mandare qualche lettera di biasimo, più o meno allarmata, in Regione, per provare a concordare una qualche soluzione o una riscrittura dello Statuto e ovviamente la nostra deputazione regionale e nazionale. Onorevoli e senatori il cui unico interesse è rassicurare quei 40 lavoratori, ma qui in ballo c’è molto di più. Parliamo di prestigio, di economia, di reali possibilità di crescita economica, scientifica e sociale.
La reazione della politica tutta e del nostro sindaco non può lasciare spazio a tentennamenti. Le rivendicazioni di Piccitto e dei parlamentari regionali e nazionali deve essere decisa, ferma e, diremmo pure, propositiva.
Ragusa deve difendere con tutte le sue forze questo centro, che deve continuare a crescere, perché questo è un patrimonio di tutti e non è ammissibile che si addensino tali nubi su un ente di ricerca che sino a ieri era in ottima salute, ma ancora oggi potrebbe goderne.

di Redazione02 Nov 2016 17:11
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