LE NUOVE DIPENDENZE ED I RISCHI PER I PIU’ GIOVANI

“Trattare un tema delicato come quello della dipendenza non è semplice, perché presenta moltissime sfaccettature ed elementi da tenere in considerazione. Con i percorsi (in)formativi di prevenzione stiamo cercando di definire il concetto di dipendenza patologica, esaminando quelle più diffuse e le caratteristiche delle alterazioni del comportamento”. E’ quanto affermato ieri sera dal direttore dell’ufficio diocesano per la Pastorale della salute, don Giorgio Occhipinti, nel presentare l’appuntamento, ospitato nell’auditorium del Preziosissimo sangue, alla presenza del parroco, don Giuseppe Russelli e del vicedirettore della Pastorale della salute, Rosario Ficara, sulle nuove dipendenze patologiche. “In rete…senza rete” il tema dell’incontro, che si è soffermato sulla dipendenza da internet e social network nei giovani, affrontato dai medici Santi Benincasa e Orazio Palazzolo, entrambi componenti della Pastorale della salute, nel corso di un’articolata relazione in cui sono stati messi in luce tutta una serie di aspetti. “Trasgredire le regole, soprattutto in giovane età – ha spiegato don Occhipinti – può essere considerato naturale. Tuttavia, se certi atteggiamenti diventano abitudini, questo potrebbe portare ad una serie di disagi, causando squilibri fisici e cognitivi”. L’incontro di ieri si è soffermato in particolare sulla dipendenza da internet e dai social network, sorta in seguito all’introduzione di tecnologie sempre più sofisticate. L’Internet addicition disorder è stata definita come l’ossessione di voler condividere la propria vita sui social media o l’attività compulsiva di navigazione sul web, che può provocare una vera e propria alienazione dal mondo “reale”. Da questa dipendenza piuttosto diffusa scaturiscono alcune devastanti realtà collegate. “Rischiare la vita senza un apparente motivo. In maniera volontaria. Ancora meglio se di fronte c’è un pubblico di persone che non attendono altro. Sembra essere questo il nuovo sport degli adolescenti e dei giovanissimi in genere – ha detto Benincasa – Ma dietro a questa tendenza si nasconde qualcosa di più profondo. Non è facile indagare sui motivi: noia, perdita di valori, incoscienza dovuta all’età, troppi stimoli provenienti da un mondo (come quello social) che impone ogni giorno nuove sfide. Forse un mix di tutto questo. Perché non può essere un caso che i comportamenti estremi – e altamente pericolosi – con protagonisti dei ragazzi si stiano affacciando alle cronache tutti assieme. Ci deve essere un ragione. Sta di fatto che, sempre più di frequente, assistiamo al diffondersi di fenomeni che portano soprattutto i minorenni a sfidare la sorte, cercando il brivido a tutti i costi. Tentativi che, in alcuni casi, li conducono alla morte. Blue Whale, DaredevilSelfie, Chem Sex. Nomi diversi, tipologie di rischio differenti, ma accomunate dalla scellerata voglia di dimostrare qualcosa: coraggio, prestanza fisica, comunanza con i valori di una community. Peccato che il risultato sia, molto spesso, devastante. È un vero e proprio allarme quello che si sta propagando a macchia d’olio in tutta Europa. La minaccia più recente si chiama “balena blù”, anche se non c’è nessun animale a mettere a repentaglio la vita di qualcuno. Al contrario, sono direttamente i ragazzi a scegliere di togliersi la vita. Sembra assurdo ma è proprio così. Un viaggio a tappe verso l’orrore che ha portato alla morte più di cento giovani in appena sei mesi”. Sempre dalla Russia e, ancora una volta, grazie alla complicità di Internet arriva un’altra pericolosissima moda. Stavolta tutto ruota attorno a uno dei gesti diventati ordinari nella vita di ogni ragazzo (e non solo): il selfie. Ma c’è autoscatto e autoscatto. Perché il DaredevilSelfie – questo il nome del fenomeno, che letteralmente si traduce in “selfie temerario” – trasforma il concetto fino a renderlo estremo. E nonostante sia stata inventata da un professionista (il freeclimber Alexander Remnev) ha nel tempo contagiato milioni di ragazzi in tutto il mondo. Anche in Italia. Per immortalarsi in pose pericolose non ci sono confini: grandi altezze, dirupi, stazioni dei treni e della metropolitana mentre arrivano i convogli, edifici abbandonati, auto e moto in corsa. E gli effetti iniziano a farsi sentire. Dal 2014 sono più di 150 le persone morte nel mondo per un selfie. “In Italia – ha sottolineato il dott. Palazzolo – dall’inizio dell’anno, sono già due i ragazzi deceduti (eguagliando dopo solo quattro mesi il dato del 2016) e molti altri ci sono andati davvero vicini; solo la sorte ha voluto il contrario. Ma perché i ragazzi fanno questo? Innanzitutto perché più di 1 su 10 ha confessato di aver provato un selfie estremo almeno una volta, nonostante fosse ben conscio del pericolo. Quasi tutti, poi, non avevano un motivo particolare per farlo: giusto per provare. Se non quello, comune alla maggioranza, di condividere online la propria impresa: lo fanno regolarmente i tre quarti dei selfisti temerari”. Inoltre, c’è l’Hikikomori. Di cosa si tratta? “E’ un fenomeno riscontrato tra gli adolescenti – prosegue Palazzolo – che consiste nel ritiro fra le mura domestiche e la mancanza di qualunque rapporto sociale. Con il termine Social withdrawal si intende una condizione sociale caratterizzata prevalentemente da sentimenti di solitudine, isolamento, ritiro dalla società e dalle relazioni interpersonali. Nelle società nipponiche questo fenomeno si configura con l’espressione Hikikomori che deriva dal verbo Hiku (tirare indietro) e Komoru (ritirarsi) ed indica una sindrome sociale che va diffondendosi ormai in maniera critica e capillare. Il termine Hikikomori è stato formulato dallo psichiatra Saito Tamaki, direttore del dipartimento psichiatrico dell’ospedale Sofukai Sasaki di Chiba, non lontano da Tokyo, negli anni Novanta del secolo scorso, per riferirsi al fenomeno di persone che hanno scelto una condizione di autoreclusione permanente al fine di ritirarsi dalla vita sociale”

Nella foto Palazzolo, Benincasa, don Occhipinti, Ficara, don Russelli

di Redazione16 Feb 2019 10:02
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