Il Governo dice No al petrolio di Ragusa!

Anche i #caschigialli di Ragusa il 9 di febbraio in campo per dire No!  all’emendamento del Governo al DL semplificazioni che potrebbe annientare di un sol colpo il settore del petrolio e gas vera eccellenza dell’industria italiana, strategico per l’interna nazione.  La motivazione che avrebbe spinto il Governo verso il NO a nuove prospezioni di ricerca di idrocarburi in terraferma e off shore, in apparenza è ambientale; ma la verità risiede altrove. Nello specifico, bloccare per 18 mesi le attività di ricerca e di estrazione del gas e del petrolio finirebbe per esporre il Paese sempre più verso l’import di energia da altri Stati, non tutelando le produzioni italiane, soprattutto quelle in essere.  Produrre e cercare petrolio e gas in Italia diventerà sempre meno conveniente, se non addirittura impossibile. Il punto è proprio questo. Minori investimenti e conseguente diminuzione delle entrate per le casse dello Stato, delle regioni e dei comuni (tra tasse, contributi e royalties). Non osiamo pensare quanto questo provvedimento governativo possa incidere negativamente sulle produzioni di petrolio ragusane. Anche per il mantenimento dei livelli occupazionali. Abbiamo già notato come, in un recentissimo passato, per un prezzo del greggio non favorevole, Eni e gli altri operatori del settore abbiano di fatto rallentato i progetti di sviluppo e mantenimento dei giacimenti.

Oggi il No del Governo metterebbe a rischio non solo le prospezioni future ma anche la gestione delle produzioni esistenti.

Infatti, l’aumento del canone di concessione di 25 volte rispetto all’attuale, assieme al blocco delle attività di ricerca, finirebbe per risolvere una volta per tutte la questione delle estrazioni in Sicilia, a Ragusa e in tutto il Paese: fuga degli investitori e dei players che attualmente operano nei nostri territori.

A causa dell’aumento dei canoni, inoltre, verrebbe meno la redditività minima per molte delle attività in corso e anche per quelle programmate, determinando una diminuzione dei canoni effettivamente percepiti, minori royalties e imposte che si traducono in una significativa riduzione di gettito per lo Stato e i territori ove insistono i giacimenti.

Con la derivante perdita di posti di lavoro in un settore che occupa, nei soli siti operativi italiani, circa 20.000 addetti. In Sicilia operano più di 1.700 operatori, tra diretto e indotto, riconducibili all’industria upstream.

Ecco perché le segreterie di Filctem, Femca e Uiltec territoriali sabato 9 febbraio saranno a Roma assieme ai lavoratori del settore per protestare contro questo provvedimento legislativo, iniquo, ingiusto, pienamente convinte che la transizione verso le rinnovabili deve essere gestita con gradualità, a tutela del giusto mix energetico, salvaguardando percorsi di ricerca e prospezione in essere e in divenire, tutelando le produzioni esistenti.

di Redazione25 Gen 2019 10:01
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