Una festa per tutte le donne? Presentiamo la riflessione della ricercatrice Chiara Facello sul 8 marzo visto dalla prospettiva delle migranti

Il rapporto tra la realtà delle migrazioni e l’integrazione assume caratteri ancora più complessi quando si parla di donne. Infatti, le migrazioni femminili portano con sé una serie di caratteristiche particolari che contraddistinguono ogni fase del percorso migratorio.  In questo scenario la violenza di genere e i dispositivi di discriminazione delle donne si manifestano in molteplici forme, oltre a quella sessuale e domestica, investe anche quella psicologica, economica, culturale e lavorativa. La segregazione di genere è la tendenza di donne e uomini a lavorare in differenti settori e livelli occupazionali. Esiste una segregazione di genere orizzontale quando si ha una concentrazione di donne e uomini in specifici ambiti ed una verticale, quando si ha una sotto-rappresentazione delle donne nei più alti livelli occupazionali, per reddito, stabilità e prestigio. I due tipi di segregazione agiscono separatamente, ma anche congiuntamente. Come in tutte le realtà del mondo, sono le donne che oggi garantiscono il maggior carico del lavoro di cura nella famiglia, in un territorio cronicamente deficitario nelle politiche sociali riguardo ai minori e agli anziani.
Retribuzione salariale, accesso al mercato del lavoro e ai fattori produttivi: la disuguaglianza tra uomini e donne è in continuo aumento. La differenza media nella retribuzione è a oggi del 23% a livello globale, e la disparità di salario e di opportunità di accesso al mercato del lavoro è ancora più significativa nei paesi più poveri. Questa la sintesi del rapporto “un’economia che funziona per le donne” prodotto da oxfam.
Le donne, con la loro presenza massiccia rappresentano quasi i due terzi del totale degli immigrati presenti in Sicilia. Nell’arco di un paio di anni, sono passate dal 43 a più del 49 per cento. Il maggior numero di donne straniere ha origini rumene e rappresentano il 17 per cento del totale delle donne straniere. Alle rumene seguono le cittadine provenienti dallo Sri Lanka con una rappresentanza pari al 14 per cento. Poi, abbiamo il Bangladesh, con il 12 per cento, Ghana e Filippine, che si attestano intorno al 14 per cento, nonché le Mauritiane con il 5 per cento. A queste seguono le tunisine, le cinesi e le marocchine che si aggirano, più o meno, intorno al 4 per cento della presenza femminile straniera.  Sappiamo dai loro racconti che le donne che arrivano in Italia sono sopravvissute a violenze, abusi e forme di sfruttamento sessuale e lavorativo.
Secondo i dati riportati dall’Oim, Organizzazione internazionale immigrati, negli ultimi anni si è registrato un forte incremento del fenomeno della tratta, soprattutto nell’ambito dello sfruttamento della prostituzione che vede particolarmente coinvolte le nigeriane, fatte arrivare in Italia con il preciso scopo di renderle oggetto di sfruttamento sessuale. Si tratta di violenze e morti, come le oltre 4000 vittime del 2016 sulla sola via del Mediterraneo centrale, ma in fondo sono solo donne che tentano di farcela con coraggio, convinzione, fermezza, seguendo i propri ideali e inseguendo le proprie passioni seppur lontano dalla propria casa e dai propri legami, donne che hanno un nome e una storia da rispettare e da cui, magari, trarre anche qualche insegnamento.
La Fondazione lavora da oltre un decennio nell’accoglienza di donne che narrano esperienze che rispecchiano le problematiche sopra citate. Per tutte loro e con tutte loro è auspicabile avviare un’azione concreta di rafforzamento dei servizi nel nostro territorio attraverso la costruzione di una casa internazionale delle donne, alla viglia della marcia della legalità organizzata proprio in un territorio dove la concentrazione di donne nel lavoro agricolo richiama all’attenzione l’importanza della sfida di ridurre le disuguaglianza.

di Redazione09 Mar 2017 11:03
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