La morte del contraddittorio.

Quanto sta accadendo nelle ultime settimane, non solo in provincia di Ragusa, è assai strano. Lo è, soprattutto, se si considera che i maggiori responsabili di quel che succede sono proprio coloro i quali si sarebbe tentati di considerare completamente estranei ai fatti. Ah, già, i fatti… Brevemente: hanno ucciso il contraddittorio. Giace esanime, ricoperto da un lenzuolo di comunicato stampa, ai piedi di certi articoli redatti da alcune redazioni della stampa locale. Tralasciando chi li ha scritti o quali erano gli argomenti trattati, bisogna sapere che sono state chieste delle rettifiche corredate da minacce di querela.
Ora, nulla di nuovo, per carità. E’ naturale che i diretti interessati possano leggere qualcosa di poco esatto sul piano della pura informazione e sentirsi “offesi”. Ed anche noi possiamo sbagliare nel riportare quel che a nostro avviso è “notiziabile”. Tuttavia non è quello che si è verificato nei casi di cui siamo stati sbigottiti testimoni o debitamente informati. Infatti, non è stato chiesto di rettificare delle notizie errate, ma le opinioni a loro commento. Vale a dire ciò che viene sancito dall’art. 21 della nostra Costituzione, il diritto di critica. Riassumiamo velocissimamente i fatti con un esempio. Facciamo finta che in un articolo sia stato detto:
– Quella vernice è blu. Ma secondo noi il colore blu non s’addice alla parete. Perché è stato scelto proprio il blu?.
I documenti ricevuti contenevano qualcosa del tipo:
– Vi chiediamo di rettificare perché la vernice, che non è blu, è bellissima. Stiamo valutando con l’ufficio legale della parete la possibilità di sporgere querela.
A questo punto verrebbe da rispondere loro:
– Ok, dài, magari non è blu, ma si può sapere almeno di che diavolo di colore si tratta? Perché, sapete, a noi sembra proprio blu. E continuiamo ad essere convinti che, qualsiasi esso sia, non è un bel colore.
Ci rendiamo conto, però, che così sembrerebbe di prendere in giro i nostri interlocutori e certamente non è quello che vogliamo fare. Ci piacerebbe solo che chi di dovere rispondesse alle nostre domande, magari mostrandoci un bel campionario di vernici per dimostrarci effettivamente come stanno le cose. Ma niente. Si è arrivati alla brutta pratica del “non è come dici tu perché te lo dico io”. Quindi torniamo alla nostra “denuncia di delitto”. Hanno ucciso il contraddittorio, il salutare confronto tra opinioni diverse e non tanto sulla veridicità dei fatti.
Le norme che definiscono l’ordinamento della professione giornalistica, tra legislazione e codici deontologici, obbligano chi scrive le notizie a rettificarle (nel caso siano errate o offensive) in seguito a formale richiesta. Tuttavia, la semplice richiesta non è sufficiente. Insomma, continuando nell’esempio: dire semplicemente che la vernice succitata non è blu non basta, serve che venga detto qual è il vero colore, e chiedere di correggere la personalissima opinione estetica è qualcosa del tutto fuori dal mondo. A meno che non ci si voglia avvalere del diritto di replica, che è altra cosa. In più non sarebbe nemmeno dignitoso, da parte di chi svolge questa professione, “aggiustare” con una negazione quanto scritto in precedenza. Aggiungere poi, in calce alla richiesta, una minaccia di querela o l’avvertimento che si stia riflettendo sulla eventuale opportunità di querelare l’autore dell’articolo è, a nostro avviso, una palese violazione delle più elementari regole di etichetta istituzionale. Per meglio dire, e su questo punto anche la Cassazione ci sembra che la pensi così, o quereli o chiedi la rettifica, visto che l’adempimento a questo obbligo può portare all’annullamento dell’eventuale domanda di risarcimento danni per diffamazione (sempre ammesso che diffamazione ci sia stata) come forma di tutela dell’attività giornalistica, posto che l’obbligo in questione interviene non appena il giornalista è a conoscenza che la notizia diffusa non è corretta.
Dobbiamo dire che non solo in campo giornalistico sta scomparendo la nobile arte del contraddittorio, ma anche in politica. Come se anni ed anni di ricorrere continuamente alle vie legali per risolvere i contrasti di opinione abbiano del tutto estinto la capacità di confronto tra le parti. Si tratta di una situazione avvilente che si aggrava nel nostro giudizio se si tiene in considerazione che in certi casi le anomale richieste di rettifica corredate dalle fastidiose, seppur blande, minacce giungono dagli uffici stampa di enti o istituzioni. Firmate quindi da colleghi giornalisti che, in linea teorica e pratica, sono perfettamente a conoscenza delle norme – scritte e non – che regolano i rapporti tra notizie, giornalisti, lettori e persone direttamente interessate. Non ce l’abbiamo con i colleghi, che in molti casi si trovano ad essere esecutori di volontà altrui e che siamo convinti si stupiscano almeno quanto noi, ma temiamo che chi commissiona i loro interventi abbia cominciato a credere che il diritto di critica sia identico al reato di lesa maestà. Ma oltre a spiegare ogni volta che così non è, cosa possiamo fare di più?

di Leandro Papa13 Gen 2014 18:01
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